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30 gen – Braini (Canada): gap generazionale e culturale

«Noi il nostro essere e sentirci profondamente italiani lo abbiamo pagato a caro prezzo. È ovvio che vorremmo che la nostra lingua e la nostra cultura continuassero a vivere per mezzo dei nostri figli e dei nostri nipoti».

Italia e italianità sono termini che danno una emozione particolare a Guido Braini, presidente del Club Giuliano-dalmato di Toronto. «Noi istriani, fiumani e dalmati abbiamo pagato con l’esodo dalle nostre terre il nostro essere italiani – continua Braini – non potevamo vivere lì da italiani e così, con tanto dolore, siamo andati via».

Tramandare la propria italianità ai giovani è lo scopo di ogni sodalizio che si rispetti ma le difficoltà sono il comune denominatore di club e associazioni. «Siamo tutti nella stessa barca – continua Braini, presidente dal 1990 – non è facile coinvolgere le nuove generazioni, noi per incoraggiarli a partecipare abbiamo anche organizzato tornei di scacchi ma con scarsi risultati. L’unico evento al quale partecipano volentieri è il picnic. Sarà che si sta all’aria aperta in un bel parco, sarà che si possono organizzare giochi e attività sportive, sta di fatto che la grande scampagnata estiva li attira».

Tenta una analisi Guido Braini per capire perchè i giovani non abbiano voglia di prendere parte alle attività dei sodalizi fondati dai propri nonni e dai propri genitori, sodalizi nati dal desiderio di mantenere vive le proprie origini. «Il problema, dal mio punto di vista, è che al gap generazionale che esiste da sempre tra genitori e figli si unisce anche un divario culturale nel senso che questi giovani sono cresciuti ed hanno assorbito una cultura diversa dalla nostra, parlano inglese, sono integrati, peraltro giustamente dal momento che vivono qui, in una società anglosassone – continua Guido Braini – il risultato è che i nostri giovani li abbiamo persi per strada e forzarli a fare qualcosa che non sentono non è giusto. Noi ci abbiamo provato – e continueremo – a far nascere in loro l’interesse verso i nostri club, ma devono essere loro a sentire l’esigenza di partecipare. Abbiamo iniziato anche a proporre loro libri sull’Italia e sulla nostra storia di esuli, in particolare, in lingua inglese. Se la lingua può rappresentare una barriera noi vogliamo abbattere questo ostacolo, anche i viaggi in Italia sono di sicuro un modo vincente per farli innamorare del Belpaese».

I figli di Braini, Roberto, 50 anni, e Mario, 44, per esempio, partecipano di buon grado: «Posso dire che sono interessati e questo mi fa tanto piacere – continua il presidente dei giuliano-dalmati – i miei nipoti invece non hanno voluto frequentare i corsi di italiano. Se non c’è la volontà è inutile insistere. Quel che però mi fa un po’ arrabbiare è il riscoprirsi italiani dei ragazzi improvvisamente come quando la nazionale di calcio italiana ha vinto i mondiali. Troppo facile.».

Nonostante le evidenti difficoltà Braini cerca di essere ottimista, di vedere un futuro ancora lungo per l’associazionismo: «Voglio pensare in modo positivo e quindi dico che se riusciremo in qualche modo a correggere il tiro e quindi a coinvolgere i giovani andremo avanti – continua Braini – di certo è che finché ci siamo noi della vecchia guardia i club non scompariranno. Per il dopo spero che i ragazzi decidano di prendere in mano le redini e andare avanti».

Sono una piccola manifestazione di amore verso l’Italia questi sodalizi pur se hanno cessato di essere quel che erano per gli emigrati nel dopoguerra: il “rifugio” dove ritrovare la lingua, gli amici e le tradizioni. «Le nostre origini sono in Italia, Paese di grande storia e cultura – conclude Braini – mi disturba il fatto che spesso i giornali inglesi diffondano e amplifichino solo le notizie negative sul nostro Paese. È bastata una parola di Bertolaso sugli aiuti ad Haiti a scatenare un polverone. Ora io mi chiedo: siamo sicuri che qui e negli altri Paesi sia tutto rose e fiori?»

da corriere.com del 29 gennaio 2010

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