Ci sono date che per il confine orientale italiano hanno rappresentato una cesura dal resto della storia nazionale, a partire dall’8 settembre 1943. Una giornata che oggi tende ad essere sempre più ricordata come l’inizio della Resistenza omettendo che, come acutamente notato da Ernesto Galli Della Loggia, si trattò della morte della Patria, una morte che si consumò soprattutto in Venezia Giulia, a Fiume ed in Dalmazia, ove il collasso politico, militare ed istituzionale dello Stato sabaudo significò dare il via libera ai partigiani comunisti jugoslavi per compiere la prima ondata di stragi nelle foibe.
Il 25 aprile 1945 scoppia l’insurrezione generale del CLNAI che vuol dire Liberazione, ma da Gorizia a Fiume passando per Trieste stava invece per cominciare l’occupazione jugoslava con nuove stragi, deportazioni e violenze (Zara lo aveva già sperimentato nel novembre 1944).
Il 2 giugno 1946 il referendum istituzionale e le elezioni per l’Assemblea Costituente avrebbero dovuto interessare anche la circoscrizione comprendente Venezia Giulia, Fiume e Zara, che, fino alla firma del Trattato di Pace, appartenevano ancora all’Italia. Un decreto luogotenenziale sospese “temporaneamente” le operazioni elettorali in questa XII Circoscrizione, sicché di fatto triestini, goriziani, istriani, fiumani e zaratini non poterono partecipare al momento fondativo della Repubblica italiana ed all’elezione di un’Assemblea che si sarebbe espressa su un Trattato di Pace che avrebbe riguardato direttamente la frontiera adriatica.
Il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 avrebbe sancito le significative cessioni territoriali alla Jugoslavia comunista di Tito e lasciato in sospeso la questione del Territorio Libero di Trieste: pesanti condizioni per uno Stato che voleva presentarsi come vincitore per effetto dell’impegno profuso nella lotta partigiana, dall’Esercito del Sud e con la resistenza passiva degli Internati Militari Italiani. Cominciò così a calare un velo su queste terre e le loro tragedie: una volta scritta l’ultima pagina del Risorgimento a Trieste con i morti dell’insurrezione cittadina del novembre 1953 ed il ritorno dell’amministrazione civile italiana il 26 ottobre 1954, fu l’oblio più completo.
L’associazionismo degli esuli in primis, qualche esponente della DC fanfaniana o dei liberali e tutto il Movimento Sociale Italiano (partito neofascista considerato al di fuori dell’arco costituzionale e relegato ad una perenne opposizione), pochi storici e giornalisti conservarono la memoria della Foibe e dell’Esodo.
Il 30 marzo di 20 anni fa rappresenta invece la data in cui iniziò un percorso di riappropriazione di tutte queste tragedie nella coscienza nazionale, di chiarificazione storiografica, di diffusione all’opinione pubblica e di spiegazione alla popolazione scolastica riguardo “la complessa vicenda del confine orientale italiano”.
La legge 92 del 30 marzo 2004, approvata quasi all’unanimità in maniera bipartisan, istituì il Giorno del Ricordo, contestualizzando e dando giusto risalto alla data del 10 Febbraio. Tale ricorrenze civile è stata celebrata con crescente sensibilità ed attenzione da parte dei Presidenti della Repubblica che si sono succeduti (Ciampi, Napolitano, Mattarella), il mondo della scuola si è aggiornato in materia collaborando con le associazioni degli esuli ed oggi i risultati sono evidenti.
A coronamento degli auspici degli esuli che vissero di stenti nei Centri Raccolta Profughi, a conforto dei parenti degli infoibati che nemmeno sanno dove sono stati sepolti i propri cari, per la soddisfazione delle nuove generazioni dell’esodo che riscoprono le proprie radici e rivendicano la propria identità: il Giorno del Ricordo fa parte a pieno titolo del calendario civile italiano e la storia del confine orientale non è più una questione locale ed accantonata bensì una pagina di storia nazionale con la sua dignità ed un profondo significato patriottico.
Lorenzo Salimbeni