da Il Piccolo del 31 dicembre 2010
Respinge categoricamente le accuse di razzismo, ma conferma che a sindaco di Pirano, piuttosto del medico nativo del Ghana Peter Bossman, avrebbe preferito fosse eletto uno sloveno. Oppure, «se già dovevamo eleggere un non sloveno… avrebbero dovuto eleggere una persona della comunità italiana del luogo». Lo scrittore triestino di nazionalità slovena Boris Pahor si difende e tenta di chiarire il suo pensiero dopo che ormai da alcuni giorni gli stanno piovendo addosso critiche da tutte le parti per aver dichiarato, in un'intervista pubblicata dal quotidiano capodistriano «Primorske Novice», che l'elezione di un sindaco nero a Pirano è da considerare sintomo di «poca coscienza nazionale e un brutto segno per la Slovenia». «Rispetto il signor Bossman e se lo incontrassi, mi complimenterei con lui», spiega l'anziano scrittore, che subito aggiunge: «Quello che invece non va bene è che la comunità maggioritaria di Pirano non abbia una persona slovena da proporre come sindaco». A giudizio di Pahor, l'elezione di Bossman – sostenuto dal partito socialdemocratico – è risultato della tradizione internazionalista della sinistra slovena, e questa tradizione in passato è costata cara in termini di affermazione dell'identità nazionale slovena. Da qui avrebbero origini anche le «interpretazioni capziose» dei suoi giudizi espressi nell'intervista.
Le affermazioni di Pahor nell'intervista alle «Primorske Novice» hanno provocato numerosissime reazioni in Slovenia. Buona parte dell'opinione pubblica è rimasta colpita dal fatto che Pahor, 97 anni, che tutta una vita ha combattuto perchè venisse rispettata l'identità nazionale slovena, abbia espresso queste opinioni sull'elezione del sindaco di colore a Pirano. Nei giorni scorsi, alle dichiarazioni di Pahor avevano reagito l'ex sindaco di Capodistria Aurelio Juri e l'Accademia liberale, ma anche alcuni importanti commentatori politici, come Vlado Miheljak sul quotidiano «Dnevnik», che ha rilevato come lo scrittore triestino, evidentemente, appartiene a quella parte della società slovena che nella democrazia e nelle sue procedure – per le quali Bossman è perfettamente in regola – vede soltanto lo strumento per l'attuazione di presunti, naturalmente superiori, interessi nazionali.