di Stefano Zecchi
Non confondiamo la memoria con il ricordo, e la testimonianza con la storia. C’è un grande polverone nelle riflessioni di Piperno che portano a vere e proprie mistificazioni culturali. Il ricordo, nella sua pubblica comunicazione, diventa una possibile testimonianza vivente dell’accaduto. Ciò che sono stati l’olocausto, le foibe nella ex Jugoslavia, i gulag, le persecuzioni nella ex Germania comunista e innumerevoli altri drammi della storia del Novecento hanno ancora testimoni oculari in grado di farci conoscere le loro tragedie. Chi li ha ascoltati, è rimasto impressionato dall’emotività del racconto, da particolari apparentemente insignificanti che diventano punti di riferimento essenziali per capire la crudeltà, la violenza, la perfidia degli aguzzini.
Ma è anche inevitabile che, in assoluta buona fede, queste testimonianze modifichino in parte la realtà degli eventi, che i rapporti storici di causa ed effetto non siano corretti, semplicemente perché il testimone parla della propria esperienza. Se, poi, trascorre molto tempo dall’accaduto, i ricordi sbiadiscono o si configurano conformemente alla personalità del testimone. Se piace, ora, evocare Proust, allora si comprenderà che i ricordi del tempo perduto sono simboli, soltanto simboli, non cose. La memoria conserva i simboli delle cose, delle persone, degli avvenimenti. Non la storia. Dunque, la morte dell’ultimo testimone di Auschwitz, delle foibe carsiche, dei gulag cancellerà la memoria di Auschwitz, delle foibe, dei gulag? Non scherziamo su queste cose, anche se possono diventare occasioni letterarie. Ciò che è accaduto, ce lo dice la storia; lo scrivono gli storici. Loro, tenendo nei giusti limiti le testimonianze e i simboli hanno il compito culturale di ricostruire il passato e affidarlo ai libri.
Naturalmente ci sono storici cialtroni che negano l’olocausto e storici cialtroni che nei libri di testo per il liceo scrivono che le foibe sono doline carsiche in cui i nazisti hanno seppellito i partigiani comunisti. Ma smascherare l’ignoranza o la malafede degli storici è un compito della comunità scientifica degli storici. Per noi, che non siamo storici di professione, il compito è più semplice: è sufficiente osservare come la comunicazione quotidiana dia pesi diversi a testimonianze e ricordi, il che provoca inevitabili distorsioni di ciò che è accaduto. Si preferisce per motivi politici, economici tapparsi le orecchie quando un testimone istriano racconta il suo dramma o quando dall’inferno siberiano un sopravvissuto racconta la sua tragedia…
Conviene fare così, ma questa convenienza non può essere quella dello storico che deve spiegarci attraverso la sua competenza scientifica come siano andate le cose. Per finire una nota di colore sugli scherzi del ricordo e le arlecchinesche testimonianze. Bersani, politico dei tempi nostri, ci ricorda quanto sia «agghiacciante» il ritorno di Berlusconi in politica. È la sua testimonianza, fatti suoi. Ma perché non ci ricorda l’ultimo governo Prodi con quei due anni grotteschi? Conviene così; dimentica di esserne stato un testimone vivente, e qualcosa di più.
Stefano Zecchi su “Il Giornale” del 30 luglio 2012
Lo scrittore, giornalista e docente Stefano Zecchi mentre riceve il Premio 10 febbraio della ANVGD
al Salone Margherita di Roma