Moriva mezzo secolo fa l’ingegnere Gianni Bartoli, il quale non solo fu Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, ma anche e soprattutto Sindaco di Trieste nei difficili anni dal 1949 al 1957.
Nato a Rovigno d’Istria nel 1900, la sua famiglia si trasferì a Trieste nel 1912, nell’ambito del consolidato rapporto del capoluogo giuliano con il retroterra istriano; compì gli studi universitari a Torino e tornò a Trieste come direttore della TELVE. Si iscrisse alla Democrazia Cristiana appena si costituì in clandestinità, la rappresentò nel Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste (ottenne due croci al merito di guerra per la partecipazione alla lotta di liberazione nei ranghi dei Volontari della Libertà) e fu segretario della sezione triestina dal 1945 al 1949.
Animato da profondo patriottismo e da una salda fede cattolica, sensibile alle tragedie che colpirono l’Istria dopo la fine della Seconda guerra mondiale, durante il suo mandato di Sindaco veniva bonariamente soprannominato “Gianni lagrima” per la sua abitudine a commuoversi, ma dimostrò presenza e carattere in anni molto difficili. Egli infatti si trovò ad amministrare una città la cui sorte era ancora in sospeso tra Italia e Jugoslavia, tra mondo libero e dittatura comunista, confrontandosi con l’ingombrante presenza del Governo Militare Alleato, non essendo mai stata perfezionata da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU la nomina del Governatore che avrebbe dovuto amministrare il Territorio Libero di Trieste comprendente la Zona A (Trieste appunto) e la Zona B sotto amministrazione militare jugoslava (la fascia costiera da Capodistria alla foce del Quieto).
Negli anni di Bartoli sindaco democraticamente eletto affluirono migliaia di profughi dall’Istria che rivoluzionarono l’assetto sociale e demografico del capoluogo giuliano: questo traumatico inserimento passato attraverso le disagiate condizioni dei Centri Raccolta Profughi e l’assegnazione di case popolari, fu gestito con particolare sensibilità dal primo cittadino assieme ad un altro rovignese carismatico, il Vescovo Antonio Santin. Potere civile ed autorità religiosa che furono punto di riferimento per la cittadinanza anche durante le sanguinose giornate di novembre 1953, preludio al giubilo del 26 ottobre 1954 con il ritorno dell’amministrazione civile italiana almeno a Trieste.
Ricordiamo, infine, che Bartoli fu tra i primi a denunciare i crimini e le violenze compiute dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito a Trieste ed in Istria, raccogliendo documenti e testimonianze nel libro “Il martirologio delle genti adriatiche”.
Lorenzo Salimbeni