Un proclama ai civili, una notizia che i nazisti aspettavano da un momento all’altro, un annuncio che gli Alleati impazienti attendevano dal 3 settembre, disposizioni alle forze armate i cui comandi al di fuori di una ristretta cerchia erano all’oscuro di tutto.
Nel caos più completo trascorse la notte tra l’8 ed il 9 settembre 1943, dopo che Pietro Badoglio, Capo del Governo, alla radio aveva comunicato:
Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.
Tra questi « attacchi da qualsiasi altra provenienza» ci furono quelli compiuti dai partigiani comunisti jugoslavi guidati da Josip Broz “Tito”. Essi attaccarono non solo le divisioni italiane di occupazione nella ex Jugoslavia, stremate da mesi di operazioni antiguerriglia, con scarsi avvicendamenti ed in alcuni casi nel bel mezzo di una sostituzione di comandanti. Tanti reparti si arresero, pochi restarono nei ranghi cercando di tornare nel territorio metropolitano, alcuni aderirono alla resistenza jugoslava, ma in ogni caso armi anche pesanti, viveri e munizioni furono facile preda delle forze partigiane con la stella rossa. Anche a Spalato e Sebenico in Dalmazia e nell’entroterra istriano i “titini” si presentarono in forze, senza trovare opposizione. Le unità del Regio Esercito erano allo sbando, i presidi di carabinieri e finanzieri vennero facilmente sopraffatti, i tedeschi si erano limitati a prendere il controllo delle città e della costa, temendo uno sbarco degli angloamericani. A inizio ottobre una massiccia operazione avrebbe posto fine al dominio jugoslavo ed incorporato a tutti gli effetti pure la provincia di Pola nella Zona di Operazioni Litorale Adriatico, il governatorato militare che comprendeva anche Trieste, Gorizia, Lubiana e Fiume ed in cui la lotta antipartigiana si svolgeva in maniera particolarmente cruenta, proprio per la maggiore incisività delle formazioni jugoslave rispetto alla resistenza italiana che andava appena aggregandosi.
Il 15 settembre tuttavia i comunisti sloveni e croati, padroni del campo, avevano proclamato unilateralmente l’annessione dell’Istria alla nascente Jugoslavia comunista e quindi era iniziata un’opera di epurazione politica su cui si innestarono anche tensioni sociali latenti e vendette personali. Nella prospettiva di questa annessione, andava eliminato tutto ciò che rappresentava l’Italia sul campo: dopo la caduta di Mussolini avvenuta il precedente 25 luglio, l’apparato fascista era già crollato, i gerarchi si erano defilati ed erano rimasti solamente i ranghi inferiori dell’elefantiaca ed invasiva struttura del Partito Nazionale Fascista. Ma non erano solo loro gli obiettivi dell’insurrezione partigiana, la priorità era eliminare tutto ciò che rappresentava lo Stato italiano in una regione che era stata già dichiarata facente parte della Jugoslavia. Furono bruciati i registri comunali ed uccisi i funzionari pubblici, le caserme diventarono posti di comando partigiani e le forze dell’ordine vennero liquidate, proprietari terrieri, professionisti e rappresentanti della classe dirigente italiana venivano sequestrati, sommariamente processati e quindi infoibati. Scaraventati nelle foibe dell’entroterra, abissi naturali profondi anche decine di metri.
In queste cavità usate fino allora come discariche andavano gettati i rappresentanti di uno Stato che, benchè avesse posto fine al ventennio fascista, doveva sparire. Le vittime della mattanza spesso precipitavano ancora vive, andando incontro ad una lunga agonia. Qualcuno, legato col fil di ferro ai polsi ad un altro prigioniero, veniva ucciso sul ciglio della foiba con un colpo di pistola affinchè precipitasse trascinandosi dietro il suo compagno di sventura. Almeno 500 gli istriani uccisi in questa carneficina consumatasi in pochi giorni; calcolando le fosse comuni degli italiani eliminati in Dalmazia ed altri episodi insurrezionali riscontrati a ridosso di Gorizia e di Trieste, alcuni ritengono che siano state un migliaio le vittime italiane in neanche un mese.
L’8 settembre 1943 è morta la Patria, ha scritto Ernesto Galli della Loggia; quell’8 settembre è anche iniziata l’agonia dell’Istria e delle terre del confine orientale che erano al centro del progetto espansionista di Tito.
Lorenzo Salimbeni