La fine dell’Austria-Ungheria, quale conseguenza diretta del primo conflitto mondiale, e il rapido crollo di quel colosso aprirono non poche incognite. Sulla carta geografica dell’Europa centro-orientale mutarono i confini. Sulle rovine del vecchio impero si issarono le bandiere delle nuove nazioni, le quali iniziarono una corsa all’acquisizione di quanti più territori – ricorrendo, non di rado, pure alle armi –, specie nei punti di maggiore frizione in cui si sovrapponevano gli interessi di due o più stati. Neppure gli accordi di pace posero fine a quella situazione di incertezza e di contrapposizione. Anche a seguito del trattato di Trianon (giugno 1920), con il quale l’Ungheria perse i due terzi dei suoi territori d’anteguerra, la situazione rimase tesa.
Tra Budapest e Vienna, infatti, gli animi erano particolarmente accesi. Alla fine d’agosto del 1921 alcuni distaccamenti di gendarmeria austriaca penetrarono nelle regioni magiare occidentali. Si contarono dei morti e numerosi feriti. La situazione non degenerò solo grazie all’intervento delle truppe italiane su ordine della Commissione interalleata. La crisi però scoppiò nuovamente, e riguardava la questione del Burgenland, che in base al trattato ricordato l’Ungheria avrebbe dovuto cedere all’Austria. Nella notte del 6 settembre le truppe regolari di fanteria ungheresi, affiancate da bande armate, oltrepassarono la frontiera della Bassa Stiria e attaccarono Krichschlag.
Il problema fu prontamente affrontato dalle Potenze vincitrici della guerra le quali pianificarono pure un’eventuale azione repressiva contro Budapest. Era fondamentale che ogni Stato rispettasse le decisioni del trattato di Trianon e non si giungesse a modificazioni territoriali. Un precedente avrebbe potuto originare delle reazioni a catena in una vasta area europea, dall’Adriatico al mar Nero, in cui ogni nazione rivendicava qualche territorio. Di fronte a uno scenario di quella portata, per molti aspetti ancora difficile e indefinito, i rapporti economici e commerciali tra le nuove realtà statuali non godevano certo di ottima salute.
Era una situazione che necessitava assolutamente di un cambiamento, per il bene dell’intero vecchio continente. E gli stati successori dell’Impero austro-ungarico dovevano sedersi ad un tavolo ed affrontare i problemi alla luce del sole. L’incontro fu più volte procrastinato e variò anche il potenziale luogo dell’incontro, alla fine fu prescelta Portorose. La conferenza doveva inaugurarsi il 24 ottobre 1921, come annunciato dal Governo italiano, ma dovette essere rimandata, ma solo per poco, a causa del colpo di mano di Carlo d’Asburgo.
Il 23 ottobre il monarca, assieme alla moglie Zita, lasciò la Svizzera a bordo di un aereo e atterrò nel Burgenland con l’intento di riconquistare il trono. Il governo ungherese di Horthy si oppose tenacemente: voleva costringere l’ex imperatore ad abbandonare il suolo magiaro. Erano giorni febbrili, e i combattimenti tra i carlisti e le truppe dell’ex ammiraglio si erano avvicinati alle porte di Budapest. L’avventura di Carlo d’Asburgo ebbe vita effimera, durò solo un paio di giorni. Venuta meno la paura di una restaurazione asburgica nell’Europa centrale, che aveva scosso non poco gli Stati di recente costituzione, si riprese il discorso della conferenza.
L’incontro fu ideato dal colonnello Smith, rappresentante degli Stati Uniti a Vienna, che aveva notato i problemi nati con la dissoluzione della stessa e la tracciatura dei nuovi confini con i conseguenti divieti e rigori doganali come risposta delle neonate nazioni per la difesa economica delle loro frontiere. Ma la conferenza fu voluta da Roma sia in quanto potenza vincitrice del conflitto sia perché essa aveva inglobato una parte dei territori asburgici.
Nella località istriana si incontrarono quindi i vari Stati sorti sulle ceneri di quell’Impero nonché gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna. Con il colpo di mano di Carlo d’Asburgo, gli Stati dell’Europa mediana chiusero immediatamente i loro confini. La missione romena, che si trovava già in viaggio, dovette fermarsi a Vienna; quelle cecoslovacca, polacca, ungherese ed austriaca decisero di non muoversi dalle loro capitali finché la situazione non si fosse placata.
I rappresentanti che già si trovavano a Portorose decisero di non iniziare i lavori, poiché senza i diretti interessati quella riunione si sarebbe rivelata un’occasione mancata. Come riportano i giornali coevi, quegli ospiti si trovano nella “dolce prigione” dell’albergo “Palace”. Proprio così, giacché a causa delle forti raffiche di bora nessuno aveva osato uscire dall’hotel. Conclusa miseramente la vicenda dell’ultimo imperatore d’Austria-Ungheria, il barone Avezzana convocò al pomeriggio del 26 ottobre i capi delle missioni presenti e cioè: Sir John Wills per l’Inghilterra, Emmerson Haren, console statunitense a Trieste, il viceammiraglio Fatou per la Francia, il ministro Lohovary per la Romania, il dott. Seba, console generale della Cecoslovacchia a Trieste, il dott. Otokar Rybar per il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Gli intervenuti, reputarono fosse opportuno esaminare, all’inizio dei lavori, la domanda dello Stato Libero di Fiume per partecipare ai lavori. Quella realtà statuale fu creata dal trattato di Rapallo, pertanto non poté essere inclusa allorché si stava organizzando l’incontro internazionale. La città sul Quarnero fu accolta in quanto anche “Fiume ha vitalissimi interessi da patrocinare e salvaguardare, così ogni ostracismo dev’essere eliminato” (“Il Piccolo della Sera”, 26 ottobre 1921, p. 1). Il 27 ottobre con il direttissimo da Vienna giunsero a Trieste i delegati dell’Austria, dell’Ungheria, della Polonia nonché alcuni rappresentanti dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti. Come curiosità ricordiamo che la rappresentanza cecoslovacca arrivò a Portorose due giorni più tardi alle 11, cioè all’ora fissata per la cerimonia d’apertura.
Il 29 ottobre 1921, finalmente, nella località balneare si aperse il convegno economico (In origine avrebbe dovuto tenersi a Presburgo nel mese di dicembre dell’anno prima). In una delle sale dell’albergo “Palace” si riunì un’ottantina di persone in rappresentanza delle varie delegazioni. A fare gli onori di casa vi era il barone Avezzana; tra gli altri convenuti ricordiamo: il dott. Schüller, segretario generale agli Esteri, per l’Austria; il dott. Szitowsky, segretario di Stato per l’Ungheria; il sig. Szarota, ministro di Legazione a Vienna, per la Polonia, i già ricordati Lahovary e Rybar, il sig. Fierlinger, incaricato d’affari all’Aja, per la Cecoslovacchia. La delegazione francese era rappresentata dal già menzionato Fatou, quella inglese da Sir Francis Dent, presidente della Commissione per la ripartizione del materiale austro-ungarico. Queste due nazioni avevano il diritto ad un solo voto consultivo. Gli Stati Uniti, invece, rappresentati dal colonnello Smith, partecipavano solo in qualità di osservatore.
Nei giorni della conferenza di Portorose i delegati affrontarono non poche questioni di ordine pratico, proponendo delle soluzioni per gettare le basi di una nuova cooperazione in uno spazio geografico già unitario ma ormai frantumato sul quale erano sorti i nuovi stati. Francesco Giunta scrisse che quei colloqui dovevano “(…) rimettere l’ordine nel retroterra, deve riorganizzare la vita nell’Europa centrale, deve persuadere i piccoli stati che nelle condizioni di debolezza in cui versa ciascuno di essi non v’è scampo che nella collaborazione, sia pure forzata” (“Il Popolo di Trieste”, 5 novembre 1921, p. 1). Lo scalo giuliano, la cui crescita e prosperità dipese proprio dalle relazioni e dai commerci con il vasto entroterra, per uscire dalla difficile situazione in cui si trovava doveva giocoforza guardare al Centro Europa. Malgrado i mutamenti geopolitici si era dell’avviso che il porto potesse svolgere ancora un ruolo importante a patto vi fosse stata una ristrutturazione delle infrastrutture e delle comunicazioni nonché un regime di importazione ed esportazione.
Quali furono i risultati di quella conferenza? Di seguito riportiamo la dichiarazione ufficiale, del 16 novembre 1921, diffuso dalla stampa dell’epoca. “La conferenza in seduta plenaria ha oggi definitivamente approvato il testo degli accordi fra gli stati successori per i servizi postali telegrafici e telefonici. Tali accordi saranno firmati fra pochi giorni. L’accordo postale contempla alcune riduzioni di tariffe e modalità per facilitare la riattivazione dei servizi vaglia, lettere assicurate e pacchi. L’accordo telegrafico e telefonico dispone per il ristabilimento di molte comunicazioni telegrafiche e telefoniche fra gli stati successori fra cui le telegrafiche Trieste-Belgrado e telefoniche Trieste-Belgrado-Budapest. Speciali disposizioni riguardano anche le comunicazioni telefoniche fra Trieste, Praga, Vienna, Graz. Altre clausole trattano il pagamento delle tasse telegrafiche e la contabilità fra le varie amministrazioni. È stato contemporaneamente approvato uno speciale accordo in materia postale fra l’Austria, l’Ungheria, la Rumenia e la Czeco-Slovacchia e furono formulati alcuni voti per la conclusione di una convenzione per la posta aerea e per la riunione di una conferenza postale a Praga allo scopo di risolvere le questioni ancora in sospeso per la nomenclatura ufficiale delle località” (da “Il Popolo di Trieste”, 17 novembre 1921, p. 1).
La conferenza di Portorose fu seguita sia dai giornali del Regno d’Italia sia da quelli locali come pure dai fogli degli Stati coinvolti nei colloqui. È interessante evidenziare che il toponimo italiano della località fu utilizzato da tutte le testate, anche da quelle slovene. Giornali come l’“Edinost” di Trieste, lo “Jutro”, lo “Slovenec” e lo “Slovenski narod” di Lubiana o il “Nova doba” di Celje, ad esempio, scrivono sempre della “konferenca v Portorose”.
Kristjan Knez
“La Voce del Popolo” 29 ottobre 2011