90 candeline per l’esule polesana Diana Garofalo Dvornicich

Abbiamo incontrato la socia del Comitato provinciale di Bergamo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, la dolcissima Diana Garofalo Dvornicich, che il prossimo 8 giugno, raggiungerà l’invidiabile età delle 90 primavere. E, come la primavera questa delicata signora sorride e li porta meravigliosamente bene.

Il suo papà militare – che definisce uomo in gamba nel modo di essere e di vivere testimoniando i suoi valori – veniva spesso spostato di sede. Fu così che, quarantenne, fu trasferito nel Dodecanneso, quando le isole, nel periodo dal 1912 al 1947, appartenevano all’Italia, come finanziere. Era responsabile di proprietà terriere dello Stato, coltivate ad ulivi. E lì, si sposò con una bella greca, più giovane di lui di 20 anni. A Rodi Egeo nacque la sua sorellina Iolanda. In seguito fu trasferito in varie sedi e fu a Siracusa che nacque Diana.

Dopo due anni, ci fu il trasferimento a Pola. Piacque così tanto Pola – con quel mare che alla mamma ricordava il suo mare – che la decisione dei genitori fu di fermarsi per sempre sognando, alla prima occasione, di comprare una casetta. Ma si avvicinavano gli anni della Seconda guerra mondiale. Il papà, quasi raggiunta la pensione, lasciò l’esercito e si impiegò negli uffici della miniera ad Arsia, vicino Pola, per rimanere stabilmente in questa città che li aveva ammaliati. Diana ha vissuto Pola, come la sua unica città, abitandoci per 12 anni, a pochi passi dal centro, in Via S. Martino n. 25. E aggiunge orgogliosa: “Io appartenevo a Pola!” C’è tornata solo una volta, andando d’estate a Cherso dove era nato l’adorato marito Angelo Dvornicich, venuto a mancare sei anni fa, che ricorda con immenso amore e che le manca tanto. A Pola i bagni con la famiglia e le amiche e spesso per i picnic, erano a Val Canè, giorni felici, spensierati di giochi e nuotate. Il papà era assegnato alla Caserma Valpedocio e lei ‘putela’ ogni tanto veniva invitata sulla motonave della Finanza, per i giri di controllo lungo la costa, che lei incantata ammirava e ancora ricorda bellissima ed infinita.

Poi ci fu Vergarolla, la spiaggia di Pola, quella fatidica domenica di agosto. Diana stava andando a Messa con la sorella e per strada incontrarono due amiche che le convinsero a cambiare programma. Così si recarono insieme a Vergarolla, dove si sarebbero svolte le prime competizioni di nuoto del mattino e incontrando amici iscritti alla gara, furono invitate a unirsi a loro per la fotografia ufficiale. Con sua sorpresa si trovò, inaspettatamente sui manifesti pubblicizzati affissi sulle facciate delle case. Per non far sapere ai genitori del cambio di programma, una scappatella che poteva essere punita, tornarono tutte a casa per il pranzo. Molti alle 12, dopo aver visto le prime nuotate tornarono fortunatamente per il pranzo domenicale in famiglia e scamparono alla strage avvenuta poco dopo sulla spiaggia per lo scoppio delle bombe abbandonate da tempo ed inerti. Ci furono oltre 100 morti, una strage. Del dottor Micheletti – dice con evidente dolore – si è parlato troppo poco; si prodigò fino allo sfinimento e tra le vittime ci furono anche i suoi figli. Lo scoppio fu fortissimo, terribile. Diana si stava per sedere a tavola e la sedia sobbalzò. Vergarolla a piedi si raggiungeva in 30/40 minuti, dalla sua casa! E, come non avere il ricordo del triste corteo dei 100 camion americani pieni di bare?

stragevergarolla

Così, come tanti polesani, la famiglia si divise e per difendere le donne di casa si decise che sarebbero partite. Momentaneamente il papà rimaneva; sarebbe stato arrestato e fermato, con la scusa che portava la pistola d’ordinanza. Così mamma, Diana e Iolanda si imbarcarono a febbraio, sul Toscana e dopo essere sbarcati a Venezia proseguirono da parenti a Milano. Del viaggio ha impressa la figura delle crocerossine, molto carine, che distribuivano panini. Milano, non era per loro e la decisione fu di venire a Bergamo, città più a misura d’uomo. Saranno ospitati alla Clementina per 5 anni. In una delle solite tristi caserme dismesse, ma alla ragazzina Diana resta l’allegria della mularia i giochi tra i tanti amici. Il suo innamoramento, poi, per Angelo. Certo i pasti erano insufficienti e poco saporiti, ma appena poterono con la primus la mamma li integrava e migliorava. Ricorda anche l’acqua dei bagni, gelata, tanto che: “Se lavavimo come i gati!”.

Poi arriva la notizia del papà rilasciato e arrivato a Trieste, senza nulla, così la sorella lo va a prendere e la famigliola finalmente riunita, col nuovo lavoro del papà che si impiega come capoguardia alla Legler, grossa industria tessile, riprende la vita normale e serena. Una grande famiglia unita, dalla sorella Iolanda al cognato, al nipote Flavio, ai fratelli e figli di suo marito. Famiglia molto numerosa, unita, solidale nelle difficoltà che si è aiutata tanto. Negli anni seguenti la nascita della sua bella Nadia, che le ha dato l’adorata nipotina Giulia.

Diana Garofalo

Quando a Bergamo nel 2014, a Teatro, Cristicchi presentò ‘Magazzino 18’, il marito Angelo riconobbe una sedia che aveva sul retro, il loro nome-cognome e il codice che corrisponde ad un loro armadio. Fu inutilmente richiesta ed ora fa parte del Museo 26 a Trieste. Anche nel film, che ha immortalato i polesani che partirono colla nave Toscana, arrivati all’altra sponda dalla nave scende una persona anziana, lo si vede bene in primo piano è il nonno del marito Angelo.

Diana ritiene la sua vita felice e fortunata, dice: “Tutto quello che mi è capitato, xe finio ben! Col suo Angelo parlava il nostro dialetto, Nadia, la sua figliola lo capisce e ride quando la mamma cita el spacher, el fogoler, la flaida , le sipele, el caligo, la saligo, el caziol…

E, con gli auguri per i prossimi 90, portati magnificamente, conclude: “Ti xe cofe?” (sei fuori di testa?). Una risata e tanti baci, ci salutiamo con l’augurio di prossimi incontri.

Elena Depetroni
con l’ANVGD di Bergamo 

Pubblicato su L’Arena di Pola di maggio 2024.

 

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