Dopo l'intervista ad Adriano Sansa apparsa domenica 11 febbraio su La Stampa, gli replica Antonio Ballarin, consigliere nazionale ANVGD.
Lettera aperta al Signor Presidente Adriano Sansa
Egregio Presidente,
Mentre leggevo ieri l’intervista da Lei rilasciata al giornale La Stampa, un senso di rabbia profonda mi assaliva in maniera progressiva. Un aria di disfatta, di abbandono e di tristezza mista a cinismo, affiora dalla Sue parole. Una sensazione negativa che demolisce il lavoro svolto faticosamente, in assoluta solitudine ed avendo contro, tutta la mentalità dominante dal dopoguerra a ieri.
Se il Giorno del Ricordo si celebra dopo 60 anni dai fatti che ci hanno così segnato, è anche perché profughi come Lei, incarnano la resa incondizionata, e non credono più, o forse non hanno mai creduto, nella categoria della possibilità. Quella stessa che permette di sperare in qualcosa di nuovo, in una ricostruzione possibile, in una memoria attiva e non unicamente vago sentimento e triste ricordo.
La cosa stupisce ancor più uno come me, che avvenga per uno come Lei, che ha ricoperto ruoli dirigenziali ed ha amministrato il potere politico, ovvero che si è trovato in posizioni nettamente più favorevoli di quanto non sia possibile per la comune persona.
Ho 47 anni, sono nato al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma. Sono profugo di seconda generazione e, come me, ce ne sono tanti altri. Ho imparato subito cosa volesse dire essere profugo o figlio di profughi, grazie agli sputi ed agli insulti che gli altri bambini italiani mi riservavano alle elementari a causa della mia diversità e grazie alle continue, laceranti offese in pubblico, che il mio maestro malignamente, mi serbava a proposito del mio sgrammatico italiano e della condizione di povertà della mia famiglia. I miei genitori mi hanno insegnato cosa significhi appartenere alla propria terra. Esserne una parte attiva, come un pino trapiantato. Mi hanno insegnato il culto per le nostre radici. Si sono sempre battuti per affermare un principio: la dignità della nostra storia; negata fino a ieri da dotti studiosi pronti a giustificarla come inevitabile conseguenza storica. Mia madre è morta qualche mese fa ascoltando il suono registrato delle campane del Duomo della sua terra che aveva sempre davanti agli occhi. Mio padre, era contento come una pasqua quando, sull’Altare della Patria, il 10 febbraio del 2005, Ciampi lo baciò e lo ringraziò per il suo sacrifico. Se n’è andato mentre gli raccontavo delle avventure in mare tra Ossero e Oriule, …e se la dregnola stava ancora al suo posto, …e se la sua casa (espropriata) era in buono stato, …e come si poteva fare con i Beni Abbandonati…
Si, sono profugo di seconda generazione. Entrambe i miei erano di Lussingrande. Ed il dialetto, per me e per tanti altri, è più vivo che mai. Lo parlo in famiglia, lo parlo con mia moglie e lei con me, con i miei figli e loro con me, che pure frequentano una scuola del Lazio, lo parlo con gli altri profughi, con i loro figli e con i figli di quei pochi italiani rimasti di là, e che adesso, testardamente e sorprendentemente, sono ancora là in più di cinquantamila.
La nostra storia, quella che ci riguarda non finirà con Lei. Lo scetticismo per ciò che abbiamo ottenuto, non finirà con l’amarezza di chi si sente stufo. La giustizia, quella vera, quella che ripaga i torti subiti, non arriverà mai se non la chiediamo senza mai demordere, con tenacia e fermezza.
La generazione dell’esodo scomparirà, ma un’altra ne seguirà le orme, ed un’altra ancora, quella dei miei figli, continuerà nella Memoria dinamica che guarda al passato e fa progetti per il futuro, consci dell’importanza delle radici. Una generazione fiera, insieme a quella da cui nasce, di aver insegnato agli italiani cosa sia l’amore per l’Italia; spregiudicata nel sognare che prima o poi sarà possibile riacquistare, e non riconquistare (tanto per essere pragmatici e rifiutando con assoluta fermezza ogni ricorso alla violenza, sapendo bene quali conseguenza essa provochi), quanto sottratto ingiustamente e con insensata ferocia. Capace di realizzare progetti che insegnino a noi stessi ed alle generazioni che verranno, quanto è bello essere Italiani d’Istria, di Fiume, del Quarnaro e della Dalmazia.
Non è mai tardi per la speranza.
Antonio Ballarin
consigliere nazionale ANVGD