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Slovenia, nel nome della Patria (balcanicaucaso.org 08 ott)

di Stefano Lusa

Oramai è ufficiale. L’ex premier Janez Janša è stato rinviato a giudizio. L’accusa, in pratica, è di aver intascato tangenti. La vicenda riguarda una cospicua fornitura di blindati finlandesi per l’esercito sloveno. Il caso era scoppiato alla vigilia delle elezioni politiche del 2008.

All’epoca un’inchiesta della televisione finlandese puntò il dito su quell’affare e su Janša. Dal partito dell’allora premier subito reagirono parlando di un complotto ordito dal centrosinistra sloveno in combutta con quello finlandese per influire sull’esito del voto. Sta di fatto che i socialdemocratici dell’attuale premier Pahor vinsero le elezioni per un pugno di voti ed i democratici dovettero andare all’opposizione dopo quattro anni di governo.

La stessa tesi del complotto è stata tirata in ballo anche oggi, visto che dopo mesi di silenzio si è tornato a parlare della vicenda proprio alla vigilia delle elezioni amministrative in programma il prossimo 10 ottobre. Janša, così, non ha risparmiato strali contro i magistrati “rossi”, legati ai servizi segreti del regime comunista. In pratica dietro ci sarebbe una vera e propria trama per mettere in cattiva luce lui e le forze “democratiche”.

Non è la prima volta che il leader dell’opposizione tira in ballo questa teoria e non è la prima circostanza nella quale punta il dito su quelle che sarebbero le “oscure forze della continuità” che avrebbero mantenuto il potere anche dopo l’avvento della democrazia.

La cosa emerse già nella prima metà degli anni Novanta e venne ribadita con particolare forza quando Janša fu rimosso dalla carica di ministro della Difesa, alla fine di una intricata vicenda di presunto spionaggio, che aveva messo a confronto uomini del ministero della Difesa e degli Interni.

La vicenda della fornitura dei blindati Patria comunque da anni fa discutere la Slovenia. All’epoca la scelta dell’azienda finlandese aveva fatto andare su tutte le furie la Sistemska Tehnika, un’impresa slovena specializzata in veicoli blindati, che sembrava destinata ad accaparrarsi l’appalto.

Da tempo stanno emergendo molti dubbi sulla razionalità dell’acquisto di oltre cento blindati ed anche sull’equipaggiamento che questi dovrebbero avere. Sta di fatto che, secondo quanto stabilito nella commessa, sarebbero dotati di armamenti troppo leggeri per far fronte agli impegni che Lubiana si è assunta nei confronti della Nato. Così mentre alcuni, tra le forze di governo, vorrebbero che l’accordo con i finlandesi fosse rescisso, il ministero della Difesa, anche per evitare di dover pagare pesanti penali, cerca di negoziare una riduzione del numero di blindati da acquistare.

Tornando alla vicenda giudiziaria che coinvolge l’ex premier per il settimanale Mladina non ci sono dubbi: ”Il presidente del governo sloveno, tra il 2004 ed il 2008, è stato coinvolto in uno dei peggiori scandali di corruzione dell’Europa contemporanea”. Per il giornale, infatti, ci sarebbero moltissime prove di come i suoi più stretti collaboratori hanno organizzato un giro di tangenti per il suo partito, quello democratico, e per alcune persone legate ad esso.

D’altra parte lo stesso Janša precisa che le accuse mosse nei suoi confronti pesano meno della carta su cui sono state scritte. A suo carico infatti non ci sarebbe alcuna prova concreta, ma soltanto il presupposto che “non poteva non sapere”. In ogni modo ora spetterà ai giudici stabilire la verità nel solito clima politico infuocato, dove da una parte ci sarà chi griderà alla “politicizzazione” della magistratura e dall’altra chi plauderà alla “indipendenza” del settore.

Sta di fatto che sulla fornitura dei blindati finlandesi rimangono molti punti oscuri e che un procedimento giudiziario attualmente è in corso contro l’allora ministro della difesa, nonché leader del Desus, Karl Erjavec. L’accusa è di "gestione infedele di un ufficio pubblico".

Sempre in materia di guai con la giustizia per i politici sloveni ha avuto il suo primo epilogo la vicenda dell’arresto del deputato del partito nazionale Srečko Prijatelj. Il tribunale di Capodistria gli ha affibbiato una condanna di 5 anni e 2 mesi. E’ stato riconosciuto colpevole di estorsione e possesso illegale di armi ed esplosivi.

La vicenda risale al 9 marzo scorso quando la polizia arrestò il deputato proprio mentre si faceva consegnare una busta con oltre 300.000 euro da un suo “socio” in affari. Denaro questo, che secondo quest’ultimo sarebbe stato estorto, ma per Prijatelj non si trattava che di vecchi debiti. Come se ciò non bastasse gli inquirenti hanno trovato a casa sua un piccolo arsenale bellico, con tanto di bombe e mitragliatori. Armi, ha precisato Prijatelj, usate durante il conflitto con l’esercito jugoslavo per l’indipendenza della Slovenia.

Il deputato, che si trova praticamente ininterrottamente in carcere sin dal suo arresto, ha già annunciato ricorso e non lesina critiche nei confronti dei giudici. Non gli sarebbe stato consentito di provare come sono andate realmente le cose. A suo avviso il processo è stato simile a quelli messi in scena nell’immediato dopo guerra, quando nel paese andò in scena una durissima repressione contro gli oppositori veri o presunti del regime comunista.

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