L’ex sindaco di Treste Manlio Cecovini è morto ieri attorno alle 16.30 all’ospedale di Cattinara dov’era ricoverato per alcune complicazioni seguite alla frattura di una gamba. Aveva 96 anni. Il figlio maggiore, il medico Sergio Cecovini, lo ha ricordato così: «Per me e per mio fratello Andro, nostro padre è stato fonte di ispirazione e di vita. Ci ha educati e indirizzati, aveva una personalità a 360 gradi. È rimasto lucido fino alla fine».
di ROBERTO SPAZZALI su Il Piccolo del 7 novembre 2010
TRIESTE Quando nell’estate del 1978, era il 28 luglio, Manlio Cecovini veniva nominato sindaco della città di Trieste – elezione travagliata con una coda politica del mese successivo – a capo di una giunta costituita da quindici assessori espressione della Lista per Trieste, la stampa nazionale e nemmeno quella locale comprese che il carillon della partitocrazia italiana si era rotto. Proprio a Trieste.
L’APPARTENENZA. I commenti, pur nell’ammissione dello straordinario successo elettorale nel movimento politico, furono intonati in ben altra direzione: il rigurgito liberalnazionale, la mena massonica sulle sorti cittadine, il localismo permeato di pregiudizio anti italiano, la vittoria della logica delle chiusure municipalistiche. Tra le tante cose dette una sola era pertinente: la sempre dichiarata appartenenza di Manlio Cecovini alla massoneria, con un grado di tutto rispetto quale Sovrano Grande Commendatore della Loggia del Rito Scozzese Antico e Accettato e poi della Grande Loggia del Grande Oriente d’Italia. Per la Trieste laica e liberale, memore della sua storia, un fatto assolutamente normale, ma per tanti altri, qui come altrove, evocatore di trame e intrighi inquietanti.
IL GIUDIZIO. Con la scomparsa di Manlio Cecovini si chiude un altro capitolo della storia cittadina su cui sarà bene un giorno riflettere. Non è ancora possibile distinguere un giudizio storico da quello politico perché il secondo si intreccia al primo e uno condiziona l’altro. Penso che ci sarà tempo per riflettere su una lunga stagione politica segnata da una presenza carsica del pensiero e dell’azione di Manlio Cecovini che ha lasciato sicuramente un segno nella storia cittadina.
LA SCELTA. Egli, nato nel 1914, non scantonava affatto le sue origini slovene nell’avo Cehovin, fedele ufficiale austriaco, il cui nome era dato ad un intero villaggio nei pressi di San Daniele del Carso, ma si sentiva, come più volte scritto e detto, per elezione e per scelta italiano, di Trieste. E come italiano di Trieste volle sempre essere riconosciuto.
IL PERCORSO. Dopo gli studi liceali si laurea in Giurisprudenza nel 1936 a Bologna ed inizia una carriera nella magistratura a Milano interrotta dalla guerra. Combatte sul fronte greco-albanese con la “Julia” e viene decorato al valore militare. Dell’esperienza ne parlerà nel diario “Ponte di Perati. La Julia in Grecia” pubblicato nel 1966. Nei mesi dell’occupazione nazista aderisce a Giustizia e Libertà e collabora con il CLN Alta Italia alla stesura di uno studio per l’internazionalizzazione del porto di Trieste. Nel 1949 entra nell’Avvocatura dello Stato, ruolo che manterrà per un trentennio fino alla sua elezione al Parlamento Europeo. Negli anni del Governo Militare Alleato ricopre l’incarico di consulente legale per l’amministrazione anglo-americana. Nel frattempo le sue attenzioni politiche fluttuano tra il Partito d’Azione, i repubblicani e la sinistra del Partito Liberale Italiano. Ricopre pure la carica di consigliere comunale (1966 – 1972) e alla direzione della Zona Industriale di Trieste.
LA CITTÀ. Quelli sono gli anni in cui matura un più forte convincimento che le speranze italiane di Trieste erano state profondamente disattese dall’Italia politica del tempo: come nel 1946 aveva vagheggiato un possibile “Autogoverno della Venezia Giulia” (da cui il titolo di un suo saggio), nel 1963 pubblica il dirompente “Discorso di un triestino agli Italiani” un vera ribellione a tutta la retorica patriottica che aveva accompagnata quel decennio successivo al ritorno di Trieste all’Italia. Finiti i tempi degli aiuti statali all’industria e all’economia cittadina era crollato il palco delle illusione: la città, prima sovradimensionata da finanziamenti anche smodati, ora doveva fare i conti con le ristrettezze imposte dal corso della normalizzazione politica che aveva subito. Le ripercussioni si erano fatte sentire già allora e ancora più qualche anno più tardi con il ridimensionamento cantieristico e la fine di un’epoca industriale.
IL PATRIOTTISMO. Su questi temi tornerà in “Del patriottismo di Trieste” pubblicato nel 1968 proprio nell’anno delle grandi celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale e preso come un intervento revisionista se non nostalgico di un tempo che fu.
IL COMITATO. Questa presenza carsica di Cecovini nel dibattito politico cittadino sta alla base della scelta di aderire alla svolta politica del Comitato dei Dieci, sorto per appellarsi popolarmente contro il Trattato di Osimo e in particolare contro il suo allegato economico, cioè quando sortirà la Lista per Trieste, per tramite della “Fondazione per il benessere di Trieste e il Carso” di cui può essere considerato uno dei fondatori. Da lì inizia la sua terza stagione politica che lo porterà a diventare sindaco di Trieste (1978-1983), consigliere regionale per la Lista per Trieste e parlamentare indipendente del Partito Liberale al Parlamento Europeo (1979-1984).
L’ISOLAMENTO. Sono pure gli anni del grande isolamento di Trieste, stante la condizione politica particolare venutasi a creare, che non permetteranno alla città di cogliere le grandi opportunità di una ripresa economica italiana ed europea. Anzi subisce un assedio politico ed attacco diretto che porterà pure alle defezioni interne alla Lista a pretesto di un eccesso di protagonismo e di cumulo di incarichi comunque gravosi.
LA GESTIONE. Eppure Cecovini inventa in quel periodo la figura del sindaco che si assume le responsabilità di una gestione amministrativa pensando già a due percorsi di riforma oggi attuali: decentramento periferico (federalismo) e sempre maggiore dipendenza dagli organi comunitari europei. Si pensi solo all’intuizione dell’Adriatico corridoio europeo su cui incardinare pure la Jugoslavia per evitarne lo sfacelo. Su questi aspetti si può dire che sia rimasto nel solco dell’autonomismo professato dal Partito d’Azione.
IL SILENZIO. Esce di scena, in silenzio, nel 2004, quando il suo gruppo ispiratore all’interno della Lista per Trieste viene messo a silenzio. E il silenzio accompagnerà i suoi ultimi anni.
I suoi scritti sono tratti raccolti da Giulio Cervani, suo antico amico, in tre volumi “Dare e Avere per Trieste” pubblicati dall’Istituto storico del Risorgimento di Trieste e Gorizia (1991-1995)
IL RICORDO. Piace ricordarlo, ritratto tra la gente comune, in uno smilzo maglione e con lo zaino, capello grigio e sguardo fiero, in una delle prime occasioni di apertura del valico di Bottazzo. Era ancora il tempo della Jugoslavia. Ma Cecovini era già europeo, oltre che triestino.