di MARY B. TOLUSSO
TRIESTE Difficile dire cosa fa la fortuna di uno scrittore. La critica, l’epoca, il pubblico, il preciso momento in cui nasce un’opera, che magari in un altro periodo, o in un altro territorio, non avrebbe incontrato lo stesso successo. Così come rimane un mistero che libri osannati da pubblico e critica, una volta scomparso l’autore, tendano anche loro a sbiadirsi, ad essere dimenticati. È un po’ la storia di Pier Antonio Quarantotti Gambini (1910-1965), che il Comune di Trieste ha omaggiato con una mostra e rassegna a Palazzo Gopcevic. Ed è all’interno della stessa iniziativa che oggi, alle ore 17.30, si potrà assistere a una conversazione tra il giornalista Alessandro Mezzena Lona e lo scrittore Mauro Covacich.
Un tentativo di riavvicinamento verso un autore che ha saputo aprirsi a più fronti, non solo attraverso la scrittura, ma anche tramite il viaggio: «È interessante esaminare anche l’aspetto esistenziale di Quarantotti Gambini – osserva Mauro Covacich – le scelte che ha fatto nella vita, il rapporto tra la narrativa e l’attività giornalistica e quindi anche la capacità di mantenere in parallelo le due forme, la scrittura d’invenzione e quella di viaggio, soprattutto considerando le difficoltà dell’epoca».
Uno stile limpido, preciso. E forte attenzione a una fase – quella adolescenziale – a cui Quarantotti Gambini affida buona parte della sua poetica. Basti pensare ai protagonisti di quello che è considerato il suo capolavoro, “L’onda dell’incrociatore”, che gli valse il Bagutta nel 1948. Il titolo, tra l’altro, fu ideato da Umberto Saba, di cui lo scrittore era fraterno amico.
E vale la pena ricordare che Quarantotti Gambini non ha lasciato solo opere di narrativa e saggistica, ma anche due raccolte poetiche, pubblicate entrambe dopo la sua morte. “Racconto d’amore” (1965) e “Al sole e al vento” (1970). Il primo un vero e proprio romanzo in versi, singolare nell’incrociare due riferimenti lirici il cui denominatore comune è la parola “Canzoniere”: ossia Saba e Petrarca.
«Personaggio controverso da diversi punti di vista – continua Covacich – irregolare, inafferrabile nell’atteggiamento politico, contro i titini e contro i fascisti», così le sue battaglie nell’emittente semi clandestina che dirigerà per quattro anni, Radio Venezia Giulia.
Venezia, ultima dimora, che l’ha accolto per diversi anni e dove si è spento nel 1965. Ma l’Istria (dov’era nato) e Trieste saranno le terre dei suoi romanzi, rivisitate alla luce della memoria, con la forte sensazione che il mondo di cui sono emanazione, stia per tramontare. «Una figura che ritengo interessante – prosegue Covacich – un po’ marginale ma significativa. Di quei personaggi che non sono mai stati nell’alveo dell’ortodossia culturale dell’epoca. Uno scrittore, Pier Antonio Quarantotti Gambini, che io tendo ad affiancare a un altro che ha avuto più fortuna, Goffredo Parise, anche lui un irregolare. Il fatto è che questo genere di artisti, per quanto siano intriganti e interessanti, a meno che non scrivano un romanzo-monumento tendono poi a scomparire».
La vita, le opere, le relazioni tra l’autore e le città che l’hanno accolto, Trieste e Venezia, ma anche i suoi viaggi e le sue sfide. Di questo si parlerà oggi pomeriggio alla Sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevic, e forse anche di un possibile confronto tra due generazioni letterarie: «I miei modelli non appartengono al territorio – conclude Covacich – ma nel panorama triestino, la lettura di certi romanzi come “L’onda dell’incrociatore” o “L’amore militare”, è stata per me più importante dei libri di Svevo. L’attenzione per l’adolescenza, certi stilemi tra delicatezza e brutalità, mi hanno toccato di più delle vicende nevrotiche di Zeno Cosini. Mi sento più vicino alla solarità ben rappresentata da Quarantotti Gambini rispetto all’altra triestinità, quella più letteraria e polverosa dei caffè».