di STEFANO PILOTTO
TRIESTE Novant’anni or sono l’Italia firmò a Rapallo, il 12 novembre 1920, un trattato fondamentale con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che regolò i rapporti ed i confini fra il nostro paese ed il nuovo stato, sorto dalla dissoluzione dell’Impero d’Austria-Ungheria e dalla sconfitta dell’Impero Ottomano. Questo trattato intervenne sessant’anni dopo l’Unità d’Italia, dopo diversi decenni di politica estera italiana orientata verso il completamento della politica risorgimentale, mirante all’inclusione delle terre popolate da italiani all’interno dei confini del Regno d’Italia. Per questo obiettivo si alternarono al potere la Destra e la Sinistra, mediante tentativi di alleanze sia con la Francia, sia con l’Austria-Ungheria, nella speranza che, mediante conflitti diretti o premi di buona condotta, l’Italia potesse riuscire ad ottenere Trento e Trieste: fu la politica filofrancese, prima, e la politica della Triplice Alleanza con Austra-Ungheria e Germania, poi.
La prospettiva del completamento del progetto risorgimentale si presentò concretamente all’inizio della prima guerra mondiale, quando le allettanti promesse fatte all’Italia dai paesi della Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia), indussero Roma a rompere gli indugi, a denunciare il Trattato della Triplice Alleanza e ad entrare nella prima guerra mondiale a fianco della Triplice Intesa. Queste promesse vennero definite in occasione degli accordi segreti di Londra del 26 aprile 1915 e indicarono la volontà di Parigi, Londra e San Pietroburgo di appoggiare, in caso di guerra vinta insieme, l’annessione del Trentino-Alto Adige all’Italia, nonché Trieste, la Venezia Giulia, la Carniola, l’Istria e buona parte della Dalmazia, oltre alla città albanese di Valona.
La guerra fu vinta, ma le condizioni generali mutarono: il crollo dell’Austria-Ungheria fu più sorprendente di quanto previsto, la rivoluzione russa modificò il quadro generale dell’Europa, il coinvolgimento degli Stati Uniti introdusse la personalità di Woodrow Wilson e dei suoi nuovi principi legati alla diplomazia aperta e ai confini definiti seguendo il principio delle linee di nazionalità. La Conferenza della Pace, apertasi a Parigi all’inizio del 1919, non permise di approdare ad un accordo per quanto riguardava i confini orientali italiani. L’Italia chiese l’esecuzione degli accordi segreti di Londra, in quanto documento essenziale per la decisione italiana di entrare in guerra a fianco della Triplice Intesa. Dinanzi alla riluttanza dei plenipotenziari europei ad avallare le richieste di Orlando e di Sonnino, il problema venne rimandato ad un accordo bilaterale fra Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. D’Annunzio, nel contempo, partì da Ronchi per occupare Fiume, al fine di annettere la città all’Italia. In questo contesto iniziarono le trattative fra Roma e Belgrado. Il risultato fu il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, con il quale l’Italia ottenne molti dei territori previsti, ma ottenne meno di quanto previsto dagli accordi segreti di Londra: non ottenne l’entroterra di Zara, non ottenne né Sebenico nè il resto della costa dalmata, non ottenne tutte le altre isole previste dagli accordi segreti di Londra (fra le più grandi Pago, Lesina, Lissa, Curzola e Meleda). Ovviamente non ottenne Fiume. A Rapallo si confrontarono due diverse posizioni. La posizione italiana identificò l’ideale di annettere le terre istriane, quarnerine e dalmate che, nel corso dei secoli, avevano caratterizzato la presenza e lo sviluppo della civiltà romana, prima, e veneziana, poi. Fra i vari criteri per la delimitazione dei confini venne preso maggiormente in considerazione quello geografico, con la valorizzazione delle Alpi Dinariche considerato come elemento utile di separazione, anche per motivi di protezione. La posizione del regno dei Serbi, Croati e Sloveni, invece, identificò l’ideale di ridurre al minimo le conquiste italiane sulla costa, cercando un accordo che permettesse alla monarchia dei Karageorgevic di mantenere il controllo quasi pieno della Dalmazia. In ciò fu determinante l’abilità del diplomatico croato Ante Trumbic, il quale, nativo di Spalato, riuscì ad ottenere il mantenimento del controllo di Belgrado su tutta la Dalmazia, ad eccezione della città di Zara. Per la città di Fiume venne adottata una soluzione originale: la creazione di un “corpus separatum”, vale a dire di una entità autonoma, che avrebbe dovuto essere amministrata da un governo locale, con la supervisione e garanzia della Società delle Nazioni. Ciò comportò, poche settimane più tardi, l’intervento militare italiano per costringere D’Annunzio a lasciare Fiume (il cosiddetto Natale di Sangue).
Il Trattato di Rapallo rappresentò un compromesso per la “questione adriatica”, ma non riuscì ad evitare, in Italia, lo sviluppo dell’idea della “vittoria mutilata”, che si sarebbe manifestata, pochi mesi più tardi, con l’ascesa del fascismo.