di MICHELE A. CORTELAZZO
Non so se i triestini provino ancora un senso di irrimediabile fastidio quando sentono qualificare la loro città come il "capoluogo friulano" o se ormai si siano arresi, annientati dall'assuefazione. Certo, anche a chi triestino non è, ma conosce la geografia della parte orientale del nostro Paese, fa effetto leggere che la tal crociera parte dal capoluogo friulano (era sfuggita alla sua attenzione l'esistenza dell'importante porto di Udine) o che di "capoluogo friulano" parla addirittura un comunicato della Prefettura di Trieste di quest'anno, apparso nel sito del ministero dell'Interno a proposito «della Tavola rotonda sul trasporto e la cooperazione marittima tra questi paesi, inaugurata oggi dal prefetto di Trieste Alessandro Giacchetti nei saloni della Capitaneria di porto del capoluogo friulano».
Qual è la causa di tutto questo? Certamente lo scarso interesse degli italiani per la geografia (sono il preside di una facoltà di lettere che ha dovuto chiudere il suo corso di laurea in geografia per persistente scarsità di iscritti); c'è anche, in aggiunta, un disinteresse e un'ignoranza delle vicende che hanno portato all'attuale configurazione dei nostri confini orientali; ma c'è anche il ruolo che i nomi possono avere nella costruzione di certi aspetti della nostra conoscenza.
Nel fissare le denominazioni delle regioni italiane, gli autori della Costituzione della nostra Repubblica si sono trovati nella necessità di creare, per quattro regioni, dei nomi doppi: Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Abruzzo e Molise e, appunto, Friuli-Venezia Giulia. L'unione dell'Abruzzo e del Molise (l'unica segnalata dalla congiunzione "e") si è presto risolta con la modifica della carta costituzionale e la creazione di due regioni indipendenti. Per il Trentino-Alto Adige, lo sviluppo di una robusta autonomia provinciale e, al tempo stesso, la decisa tutela del bilinguismo nella provincia di Bolzano hanno contribuito a preservare una forte identità alle due parti della regione. Il problema si pone, dunque, solo per le altre due regioni. Da questo punto di vista il Friuli-Venezia Giulia è in buona compagnia: nei mesi scorsi, nei quali si è disquisito di una possibile separazione tra Emilia e Romagna, quanti sapevano quali erano le province che potrebbero formare la nuova regione romagnola? L'unica differenza sta nel fatto che il capoluogo si trova nella parte della regione indicata dal primo dei due nomi e quindi se, per brevità, si parla di Bologna come del "capoluogo emiliano" si dice una cosa imprecisa ma non sbagliata.
Il Friuli-Venezia Giulia ha però una complicazione in più: la denominazione unisce un nome storico, Friuli, con un nome dalla nascita molto recente e, in una certa misura, artificiale.
L'artefice del nome Venezia Giulia, infatti, è Graziadio Isaia Ascoli, grande linguista originario di Gorizia, che lo propose nel 1863 in un articolo uscito nel giornale milanese ”L’Alleanza”. Non fu una denominazione isolata. La proposta di Ascoli, infatti, cercò di risolvere, con spirito di sistema, il problema delle denominazioni dell'intera parte orientale dell'Italia (allora ancora non appartenente al Regno d'Italia). L'intenzione che ha guidato l'invenzione ascoliana è questa: denominare tutte le regioni orientali Venezie dando a ognuna una specificità: «Noi diremo Venezia Propria il territorio rinchiuso negli attuali confini amministrativi delle provincie venete; diremo Venezia Tridentina o Retica (meglio Tridentina) quello che pende dalle Alpi Tridentine e può aver per capitale Trento; e Venezia Giulia sarà la provincia che tra la Venezia Propria e le Alpi Giulie ed il mare rinserra Gorizia e Trieste e l’Istria». In questo quadro, un ruolo particolare spettava a Trieste: «Noi abbiamo in ispecie ottime ragioni di andar sicuri che la splendida e ospitalissima Trieste s’intitolerà con orgoglio la Capitale della Venezia Giulia».
Tornando alla denominazione, l'intento (dichiarato nel prosieguo dell'articolo) di Ascoli è quello di creare una denominazione al tempo stesso unitaria e distintiva delle diverse parti della regione, ma anche di far coincidere la denominazione della regione con il nome della città che è il primario riferimento storico di gran parte del territorio nordorientale.
Ma Ascoli aveva anche un altro intento: quello di opporsi al sistema denominativo dell'Impero austro-ungarico. Per l'Austria, infatti, esisteva una regione che si chiamava Veneto che comprendeva le sette province che attualmente compongono la regione omonima, ma anche la provincia di Udine, cioè tutto il Friuli. Ad oriente vi era il "Litorale austro-illirico" e ad occidente il "Tirolo meridionale".
La proposta dell'Ascoli non ebbe subito un ampio seguito, se la questione venne ripresa più volte nel corso del primo Novecento (e certamente la sua "Venezia propria" non ebbe alcun successo, sostituita come fu, da parte di chi condivideva i suoi intenti di fondo, da Venezia Euganea). Ma tra le denominazioni proposte la sola che ebbe presto un certo seguito fu proprio Venezia Giulia: nel corso dell’ultimo quarto dell’Ottocento, troviamo usato “Venezia Giulia” nel 1878 nel volume di Riccardo Fabris, ”Il confine orientale d'Italia”, nel 1885 addirittura nel titolo di Paulo Fambri, ”La Venezia Giulia: studii politico-militari”, e poi via via in numerose altre pubblicazioni (come nei Cenni intorno all'origine e costituzione della Società "Pro patria" ed atti della prima adunanza generale tenuta in Rovereto il di 28 novembre 1886, del 1887 e in Oreste Bordiga, ”Economia rurale: trattato ad uso degli agricoltori, dei proprietarii, degli studiosi delle scienze agrarie e delle quistioni attinenti all'agricoltura”, del 1888).
In questo quadro la denominazione “Venezia Giulia” assunse un notevole valore simbolico in chiave irredentista: il "Corriere Friulano" di Gorizia del 26 giugno 1907 fu posto sotto sequestro (salvo essere poi dissequestrato dalla magistratura) a causa di un articolo anonimo (ma rivendicato, nel secondo dopoguerra, da Gaetano Pietra) che, tra l’altro, conteneva queste parole: «A noi suona meglio il nome di Venezia Giulia perché ha in sé tutta l'armonia delle memorie! … E noi siamo sicuri della coscienza nazionale di nostra gente per preoccuparci, come ha mostrato d'altro canto il rappresentante del governo, perché il nostro paese venga indicato, da chi proprio lo desidera, con un nome, secondo noi, meno eufonico di Venezia Giulia e sia pure non di nostra favella!».
Sempre problematica è stata l’ascrizione della provincia di Udine alla “Venezia Giulia”. La Società Geografica Italiana, nel congresso del 1921, approvò all’unanimità un ordine del giorno presentato da Olinto Marinelli, che sosteneva che la Venezia Giulia (o Regione Giulia, come si preferì in tale occasione) avesse "d'ora innanzi a comprendere, oltre ai territori redenti, anche l'intero territorio friulano". Ma ancora nel 1937 l’Enciclopedia Treccani, nella voce Tre Venezie, trattava la provincia di Udine assieme alle altre sette province venete nella sezione dedicata al Veneto, mentre dedicava la sezione intitolata “Venezia Giulia” alla “regione storica dell’Italia continentale, compresa tra la frontiera iugoslava, il Quarnerolo, l’Adriatico e il confine orientale della provincia di Udine (Friuli)”. La stessa ripartizione utilizzava l’Istituto Centrale di Statistica.
Queste sono, dunque, le premesse che indussero i costituenti, un decennio dopo, a inserire nella nostra Costituzione una regione che comprendesse l’intera area orientale dell’Italia, per quello che era ormai possibile dopo l’esito della seconda guerra mondiale, ma, al tempo stesso, ad abbinare al nome “Venezia Giulia” quello del “Friuli” (peraltro, a quel punto, territorialmente molto più ampio della Venezia Giulia), marcando l’autonomia culturale del territorio allora compreso nella provincia di Udine. Lo fecero certamente senza immaginare le distorsioni che questa denominazione avrebbe causato nella percezione da parte degli altri italiani della configurazione della popolazione e della cultura del territorio così delimitato e denominato.