Una parte della sinistra italiana continua ad andare nella direzione giusta: quella della rivisitazione critica della propria storia, della riscoperta del confine orientale e del recupero del patrimonio risorgimentale democratico-patriottico in sostituzione dell’esausto paradigma marxista-leninista. Una spinta in tal senso la sta dando senz’altro il 150° anniversario della cosiddetta «unità d’Italia», o meglio della nascita del secondo Regno d’Italia dopo quello di Napoleone. Ma in realtà tale percorso virtuoso era già iniziato nel 1989 con la caduta dei regimi comunisti.
Un’ulteriore felice tappa è costituita ora dall’uscita dal libro “Frontiera rossa – Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955” (Libreria Editrice Goriziana, 271 pagine, Euro 26,00), che è stato presentato al pubblico martedì 16 novembre presso la sala di lettura della Libreria “Minerva” a Trieste, in presenza di una sessantina di persone tra cui il candidato sindaco del PD Roberto Cosolini e l’ex sottosegretario di Stato Miloš Budin.
L’autore della monografia è Patrick Karlsen, 32enne che ha conseguito la laurea e il dottorato di ricerca in Storia contemporanea presso l’ateneo triestino ed è ora borsista all’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli. La sua tesi di fondo è che tra la fine della Seconda guerra mondiale e i primi anni del dopoguerra al confine tra Italia e Jugoslavia si sono confrontati e scontrati due diversi comunismi: quello rivoluzionario-espansionista di Tito e quello legalitario-ciellenista di Togliatti.
Fino al giugno 1948 Stalin li sostenne entrambi, in base ai due diversi contesti in cui operavano: la Jugoslavia, soggetta all’influenza sovietica, e l’Italia, prima occupata e poi comunque controllata dagli anglo-americani. In Jugoslavia Stalin consentì, malgrado le sue remore iniziali, la lotta di classe per l’instaurazione di uno Stato comunista, mentre in Italia ordinò la collaborazione con l’istituzione monarchica e con gli altri partiti antifascisti secondo la vecchia logica dei «Fronti nazionali». Tito era in posizione di forza rispetto a Togliatti, il quale, ubbidendo a Stalin, ne accettò le pretese, anche se fino a un certo punto, per non perdere agli occhi degli elettori italiani la sua qualifica di capo di un partito comunista sì ma nazionale.
A introdurre l’incontro è stato colui che potremmo considerare il principale fautore della riconciliazione degli ex comunisti giuliani con i principi di patria e nazione in una moderna ottica democratico-riformista: il prof. Stelio Spadaro, esule da Isola d’Istria a Trieste, assessore provinciale del PCI dal 1977 al 1980, nonché segretario provinciale del PDS-DS dal 1993 al 2001.
Spadaro ha dichiarato di aver tratto da questo volume obiettivo e ben documentato la conferma alla sua convinzione che in quegli anni il PCI considerava la Venezia Giulia un corpo estraneo al perimetro nazionale italiano, il frutto di una guerra di conquista mai digerita: quella del 1915-18. Ciò ebbe gravi ripercussioni anche nei decenni successivi.
Infatti, salvo la parentesi 1948-1955 dovuta all’espulsione del Partito Comunista Jugoslavo dal Cominform, i comunisti italiani lasciarono l’interpretazione della vicenda del confine orientale ai comunisti sloveni e croati. Le conseguenze furono tanto durature che ancora nel 2004, quando si stava per affrontare alla Camera la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, l’allora capogruppo dei DS Luciano Violante rivelò le sorde resistenze di parecchi suoi deputati, come se foibe ed esodo non riguardassero la nazione italiana.
Spadaro ha rilevato invece l’opposto atteggiamento degli sloveni, che, indipendentemente dalla fazione politica, erano e sono concordi nel volere l’unità di tutto il loro popolo nella cornice di un unico Stato, mentre rifiutano di vedere nell’Adriatico orientale dal Cividalese alle Bocche di Cattaro una regione plurale, dove da secoli convivono gruppi etno-linguistici eterogenei. Secondo Spadaro, i problemi in quest’area si sono acuiti nel XX secolo quando è mancata la democrazia, quando hanno prevalso i totalitarismi mono-etnici.
La prof.ssa Anna Maria Vinci, docente all’Università di Trieste, ha evidenziato come il PCI non avesse saputo distinguere tra sano patriottismo e aggressivo nazionalismo perché non considerava la patria come un valore che venisse prima del popolo e della classe. Al contrario, i comunisti sloveni e croati usarono disinvoltamente il nazionalismo come un’arma formidabile per la conquista e il mantenimento del potere.
Il prof. Raoul Pupo, dell’Università di Trieste, ha spiegato la politica di potenza di Tito con il suo tentativo di esportare la rivoluzione in Italia e in tutti i Balcani. Il PCI si ridusse pertanto al ruolo di partito satellite, bisognoso di quello jugoslavo anche per i finanziamenti e i collegamenti con Mosca. La Venezia Giulia venne ad essere l’area in cui si sovrapposero le diverse strategie dei due partiti. Appena dopo il giugno 1948 Togliatti poté uscire da questa ambiguità doppiogiochista. Fino al 1948 i comunisti triestini passarono tre distinte fasi: la prima, dal 1942 al 1943, di subordinazione; la seconda, dalla fine del 1943 all’estate 1944, di parziale autonomia; la terza, dall’autunno 1944 al giugno 1948, di integrazione-subordinazione alla realtà jugoslava. Il PCI rifiutò di riconoscere il fallimento del comunismo jugoslavo anche di fronte all’esodo istriano-fiumano-dalmata, che ne costituiva un’implicita denuncia da parte di chi lo aveva sperimentato.
Patrick Karlsen ha messo in evidenza il funambolismo di Togliatti, che prima mirò a trovare soluzioni di compromesso che accontentassero tutti, ma poi, pur liberato dal fardello di dover accontentare Tito, non poté rivendicare i diritti dell’Italia sull’intero TLT perché con lo scoppio della guerra fredda l’URSS non voleva cederlo alla NATO.
Durante gli interventi del pubblico, il prof. Samo Pahor, leader del movimento “Edinost”, ha negato l’esistenza di un nazionalismo sloveno tanto nel passato quanto oggi, accusando i relatori di alimentare quello italiano.
Karlsen e Spadaro presenteranno prossimamente “Frontiera rossa” a Gorizia e a Milano e saranno ben lieti di poterlo fare anche in altre città d’Italia. I lettori de “L’Arena” che fossero interessati a organizzare incontri pubblici nella loro località di residenza possono contattare la nostra Redazione per gli opportuni accordi.
Paolo Radivo
(courtesy MLH)