di ANDREA MARSANICH su Il Piccolo del 7 dicembre 2010
Spinti dalla recessione e soprattutto dagli alti costi in patria di alimenti, vestiario, prodotti igienici e altro ancora, i croati hanno riscoperto Trieste e le località vicine, luoghi dove poter fare finalmente la spesa a buon mercato. Come 20, 30 e più anni fa. Il flusso in Italia di acquirenti istriani, fiumani, dalmati e di altre parti della Croazia si era arrestato o comunque affievolito una decina d’anni fa, con l’ingresso nell’ex repubblica jugoslava di ipermercati che avevano contribuito a fare da calmiere ai prezzi, facendo montare una specie di patriottismo commerciale tra i croati. I suoi effetti sono andati spegnendosi con il trascorrere degli anni, fino a quando il carovita e la matematica hanno fatto capire da questa parte del confine che non era il caso, sempre e comunque, di insistere nel fare acquisti in punti vendita dove pasta, tonno in scatola, olio d’oliva e di semi vari, caffé, detersivi, formaggi, ecc, costano di più che a Trieste, Monfalcone, Muggia, Basovizza, Opicina, Palmanova e anche nella slovena Ilirska Bistrica (Bisterza o Villa del Nevoso). Il passaparola ha avuto un effetto dirompente, anche perché negli anni scorsi c’era stata comunque una schiera di tenaci consumatori croati che non avevano mai rinunciato allo shopping d’oltreconfine. L’8 ottobre scorso, ad esempio, Giornata dell’Indipendenza della Croazia e dunque giorno festivo, le file ai valichi croato–sloveni di Pasjak e Rupa, nell’entroterra del Quarnero, erano chilometriche, segno dell’assalto alle rivendite italiane e, in seconda battuta, a quelle slovene. Ogni sabato migliaia di croati si riversano a ovest, per acquisti che non presentano le caratteristiche di qualche decennio fa.
All’epoca della “grandeur” del borgo teresiano in fatto di shopping, gli jugoslavi non si lasciavano ammaliare dai generi alimentari, grazie ai bassi costi nella defunta Federativa. Erano i capi d’abbigliamento, i jeans in primo luogo (le famose “traperizze”), i prodotti concupiti in quegli anni da sloveni, croati, serbi, bosniaci, macedoni e montenegrini. Ora è tutto il contrario, o quasi, con la clientela dell’Est che concentra i suoi sforzi economici soprattutto sui generi di prima necessità. La cosa non stupisce: per un litro d’olio d’oliva si sborsano a Fiume, Istria e dintorni come minimo 50 kune, che fanno 6,8 euro, mentre in Italia bastano anche 3 euro, 3 euro e mezzo. Una confezione di 400 grammi di Nutella (scusate la pubblicità), prodotto assai popolare anche in Croazia, costa in media nell’Istroquarnerino sulle 23 kune (3,13 euro), in Italia invece sui 2,19 euro. Quattro confezioni da 80 g di tonno in scatola costano 4,48 euro in Croazia e 3,35 in Italia. E che dire del Parmigiano Reggiano che a Fiume ha un prezzo quasi proibitivo per i locali: 200 kune, sui 27,2 euro, mentre a Trieste si parte da un minimo di 12 euro. Gli esempi possono continuare all’infinito e riguardare anche riso, pelati in scatola, birra, vino, bevande analcoliche, ammorbidienti. Essendo a poche settimane da Natale, è certo che i croati faranno anche incetta di panettoni: in Croazia il prodotto di una nota casa può essere acquistato a 69,90 kune (9,5 euro). Parliamo di un panettone di mezzo chilo. Lo stesso prodotto, ma di 8 etti, viene a costare in Italia sui 3,3 euro. A favorire l’alta marea croata a Trieste e nell’area giuliana è stata anche la decisione delle autorità di Zagabria che l’anno scorso hanno elevato da 300 a 1000 kune (da 40,8 a 136 euro) la quota esente dogana e Iva per ciascun croato che si reca a fare acquisti all’estero.