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Giani Stuparich, un mondo di coscienza e libertà (Il Piccolo 16 dic)

di ELVIO GUAGNINI

La mostra vuole essere anche l’illustrazione di un fondo donato dagli eredi Stuparich all’Università di Trieste (ora presso l’Archivio del DiSCAM). Un fondo di manoscritti e documenti relativi all’attività letteraria, saggistica e giornalistica dello scrittore, che ha permesso e permetterà agli studiosi di ricostruire i percorsi complessi delle principali opere di Stuparich dagli anni di collaborazione alla “Voce” a Simone, con la presenza di numerosi inediti.

Con il concorso di ulteriori documenti prestati dalla famiglia (immagini, fotografie, oggetti), la mostra offre possibilità di allargare e di riscrivere il quadro delle conoscenze relative allo scrittore e ai contesti nei quali si era sviluppata la sua attività. E intende anche fare il punto su aspetti relativi all’ “impegno” di Stuparich come scrittore (che intendeva trasmettere un messaggio civile ai propri lettori), ma anche come organizzatore di cultura (si pensi al fatto che fu promotore a Trieste – nel 1946 – del Circolo della Cultura e delle Arti, di cui fu il primo presidente), come giornalista, saggista e insegnante.

L’eredità che uno scrittore lascia è nelle pagine dei suoi libri, nella loro qualità, nello spessore etico e di gusto. Quella di Stuparich non è solo eredità di stile, di finezza interpretativa di uomini e situazioni, ma anche insegnamento civile, testimonianza, esempio. Un allievo di Stuparich, Adriano Mercanti, in un ricordo del 1981 pubblicato dal C.C.A. sottolineava il fatto che Stuparich era stato uno scrittore e un artista, ma con la consapevolezza che “un’opera letteraria è sempre un’azione” e che l’”uomo deve partecipare alla vita attraverso “prove del pensiero e del sentimento : le sole che possano avvicinare alla verità”. Per questo, Stuparich – continuava Mercanti – fu “scrittore ed educatore, e fu soldato e politico; partecipò alla Resistenza e scrisse saggi di carattere morale e pedagogico e pragmatico in una continuità operante soprattutto con l’esempio, con fedeltà ed obbedienza a una concezione della vita come impegno totale”.

Nato nel 1891 a Trieste (dove morì nel 1961), Stuparich condivise – con altri triestini – l’esperienza della collaborazione alla rivista fiorentina “La Voce” e, più tardi, dopo la Grande Guerra (cui partecipò da volontario nelle file dell’esercito italiano; ottenne la medaglia d’oro al valor militare), ad altre importanti riviste italiane pubblicate tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, da “Solaria”, a “Pègaso”, da “Letteratura” a “Il Ponte”. Antifascista, avverso ad atteggiamenti di simpatie bellicistiche e combattentistiche, fu autore di libri che – sul piano civile – sono ricchi di spunti antiretorici, e risultano anche originali e interessanti sotto il profilo dell’analisi psicologica e dell’intreccio tra autobiografia, memoria, documento, racconto. E testimoniò lucidamente il percorso della propria generazione tra primo anteguerra e secondo dopoguerra, disegnando l’autoritratto culturale di un intellettuale sospeso e perplesso tra vecchia e nuova generazione. Un intellettuale che, di fronte alla violenza, ai pregiudizi, agli scontri, alle tragedie, alle catastrofi minacciate e realizzate negli ultimi decenni, era convinto che il linguaggio dell’arte e quello della cultura avessero il potere di aiutare il superamento delle sofferenze e il rasserenamento degli animi, di realizzare unioni al di là delle profonde divisioni e spaccature cooperando alla “restaurazione dell’uomo”. In prospettiva europea, in una proiezione verso orizzonti capaci di superare le angustie imposte dalla storia recente.

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