Sono ormai passati sessant'anni dalla sua morte ma le fotografie che ci ha lasciato suscitano ancora molta curiosità, interesse e attenzione. Perchè Francesco Penco non può essere considerato un fotografo qualsiasi, bensì un fotoreporter in anticipo sui tempi, un testimone delle salienti vicende che hanno caratterizzato il Novecento e dei suoi interpreti, fotografo delle dinastie che hanno segnato l'economia giuliana, ritrattista di cantanti lirici, uomini politici e di cultura. Ora una parte di questo immenso patrimonio è raccolta in un nuovo volume intitolato ”Francesco Penco, Trieste e Fiume in posa” (Comunicarte, pagg. 176, euro 28) che il giornalista e fotografo Claudio Ernè ha personalmente curato e fatto seguire al primo ”Francesco Penco fotografo. Il Novecento di Trieste”.
Questo secondo libro, arricchito dalla presentazione del direttore de Il Piccolo Paolo Possamai, è stato presentato domenica scorsa al Caffè San Marco in occasione della fiera dell'Editoria di Progetto Bobi Bazlen.
All'incontro, moderato dal giornalista Pierluigi Sabatti, l'autore ha svelato come sia iniziata la sua ricerca dell'archivio Penco. «Circa cinque anni fa – ha spiegato Ernè – un amico mi segnalava che un antiquario aveva in carico oltre trecento lastre fotografiche che però non interessavano a nessuno. Essendo un appassionato di fotografia mi recai a visionare il materiale: si trattava di una parte dell'archivio di Francesco Penco».
Un fotografo di cui pochi avevano memoria e di cui il tempo aveva cancellato ogni traccia. Per oltre cinquant'anni si era persa ogni notizia di questo patrimonio documentaristico. Ora, grazie alle lunghe e meticolose ricerche che Ernè sta conducendo, una parte dell'archivio è lentamente riemersa.
«Si tratta di un libro intrigante, che si discosta dal precedente dedicato alla storia ufficiale», ha sottolineato Sabatti. «Questa nuova pubblicazione privilegia il ritratto della città e della sua gente, le navi in rada, i cantieri, le rive e i moli, le piazze larghe perchè non ancora afflitte dalle automobili, creando nel lettore una nostalgia per un luogo in cui non è vissuto».
Ernè ha ricordato che in questo secondo volume la scelta delle immagini non si limita a Trieste, ma comprende anche un reportage che Penco fece su commissione a Fiume nel 1906. Scatti che non sono quelli di un ritrattista qualunque o di un comune fotoreporter, ma di un poeta dell'immagine. Anche la qualità delle fotografie rivela i tipi di apparecchiature di cui era dotato il suo studio, ottiche e obbiettivi di prima scelta.
Ma l'opera del giornalista Ernè ha anche un altro fine e precisamente la conservazione del patrimonio. «Salvare questo archivio fotografico equivale a costituire un mattone per poi creare un muro della fotografia triestina, cioè ricreare la storia fotografica della città: si tratta di un'opera di supplenza alla quale non può far fronte un singolo senza il supporto delle istituzioni».
Un libro, questo di Ernè, che ha visto la luce grazie anche al restauro grafico delle immagini eseguito dal fotografo Massimo Cetin, e alla Stella Arti Grafiche.
Andrea Di Matteo