TRIESTE – Trieste, l’operetta, la stratificata realtà artistica mitteleuropea, è il triplice e indissolubuile rapporto che, a partire dalla metà dell’Ottocento, ha vivacemente segnato la vita sociale e culturale del capoluogo giuliano (realtà peraltro comuni al territorio istroquarnerino e dalmata, e per cui oggetto di particolare interesse e curiosità). È questo l’argomento che Marina Petronio affronta “di petto” nel suo libro “L’operetta a Trieste… e altra musica d’intrattenimento” (uscito di recente per i tipi della triestina “Luglio Editore”), e lo fa in un modo originale: raccogliendo i programmi di sala di operette scritti da lei stessa per il Teatro “Giuseppe Verdi”, integrati da ulteriori notizie storiche e da una sintesi sulla diffusione del genere nella città giuliana, da articoli sull’argomento pubblicati su varie riviste e giornali, concludendo con una parentesi sui generi d’intrattenimento più giovani e attraenti, quali il cabaret e il musical.
Casi emblematici: von Suppé e Lehar
Il libro, di quelli che si leggono tutto d’un fiato, è un’incredibile sventagliata di storia-cultura-costume-curiosità che spalanca le porte a un mondo a prima vista lontano, mitico, fatto di artisti, imperatori, glorie, imbrigliato a malapena nella realtà dal dato esatto, dal fatto storico, dall’aneddoto verificato. Johann Strauss, Kalman, Kreisler, Costa, Stolz, gli astri del cabaret, del musical e tutta una girandola di fatti contestualizzati in un più ampio tessuto otto-novecentesco. Per quel che ci riguarda, il nostro interesse si polarizza in modo particolare su due nomi, i cui natali e/o destini sono legati ai lidi istriano e dalmata: lo spalatino Franz von Suppé, iniziatore dell’operetta viennese, e Franz Lehar, il cui legame con Pola fu molto significativo per il giovane compositore.
Nel qual caso Francesco Ezechiele Ermenegildo Cavalier Suppé Demelli (Spalato 1819 – Vienna 1895) avesse coltivato dei rapporti più stretti con lo zio Gaetano Donizetti (!), probabilmente i suoi sentieri artistici avrebbero preso ben altre vie. Ma così (fortunatamente?) non fu. La parentela va ricercata in un comune antenato belga, che si trasferì a Cremona, e quindi, per motivi di lavoro, la famiglia prese la via della Dalmazia. Il nonno di von Suppé era stato nominato capitano circondariale a Spalato, mentre il padre commissario circondariale nella medesima città. La madre, Katharina Landowska, viennese di origini ceco-polacche, aveva trascorso la giovinezza a Zara, città in cui il piccolo Francesco si trasferì con la famiglia nel 1820. Studi di musica con il maestro di cappella del Duomo di Cigale, e con Ferrari, il direttore della locale banda e quindi debutto zaratino nel 1834 con l‘operina “Il pomo”, cui segue la “Missa Dalmatica” eseguita dai Padri Francescani locali (1835).
Mantenne sempre un accento italiano
Fa notare Edmund Nick, nel suo libro sull’operetta viennese, che nessun altro compositore d’operette ha prodotto tanti Graduali, Offertori, Inni salmi e Ave Maria, e nessum compositore sacro, tante “pochade’ e operette”. Assolve gli studi di legge a Padova, meta preferita da istriani e dalmati –, a Milano conosce Rossini e Verdi, e dopo la morte paterna prende la via di Vienna, senza conoscere una parola di tedesco. Direttore d’orchestra al Theater an der Josefstadt, scrive musica d’intrattenimento, e sotto la passione per Offenbach e l’operetta parigina, si dà a sua volta all’operetta.
Von Suppé, che per tutta la vita manterrà un accento italiano, nella formazione musicale assumerà un’impronta tipicamente viennese, tanto da essere considerato unanimemente il fondatore dell’operetta viennese; più leggera e amabile rispetto alla sarcastica ed irriverente operetta “made in France”. “Ragazzi allegri, “La bella Galatea”, “Fatinitza”, e, il capolavoro, “Boccaccio” sono i lavori con i quali von Suppé conquisterà gli austriaci e l’Europa, entrando nel Gotha dei maestri di questo brillante genere, che ancora gode di tanta fortuna a Trieste, come pure nell’Europa centrale.
L’estrema duttilità, la facilità di scrittura, il non farsi troppi scrupoli nell’utilizzare “ciò che era già a disposizione” (canti goliardici, canti popolari, reminiscenze belcantistiche e di autori celebri), “la facondia musicale ed una ‘verve’ tutta italiana”, la strumentazione di qualità e la caratterizzazione psicologica dei personaggi, sono alcune delle principali peculiarità dell’abilità artistica del Nostro. Una curiosità: alla pari di Rossini, von Suppé era un fanatico della buona cucina ed un virtuoso del mestolo. Quando si metteva ai fornelli nulla lo poteva staccare, nemmeno gli impegni professionali.
La carica dei 110 polesi
Franz Lehar è l’altro nome dello scintillante firmamento operettistico viennese-europeo legato alle nostre contrade, ed in particolare alla bella Pola, allora centro della Reale e Imperiale Marina da guerra austriaca, che contava, immaginatevi un po’ (sempre che ci riusciate), un’orchestra composta da centodieci elementi! Qualcosa come, più o meno, due odierne orchestra sinfoniche messe assieme; il che la dice lunga sull’alfabetizzazione musicale presso la popolazione media del tempo, del ruolo della musica e del teatro in ambito sociale. Se non andiamo errati, oggi come oggi, Pola non dispone di un’orchestra fissa, e solo eccezionalmente, racimolando musicisti da tutti e quattro i punti cardinali della penisola e del Quarnero, riesce a tenere qualche raro concerto. No comment.
Stimolante «servaggio»
Sebbene, dopo, Lehar definisse “servaggio” il periodo polese, il giovanissimo maestro, scelto nel 1894 tra centoventi (!!) candidati, a Pola ci si buttò a capofitto, “an die blaue Adria”, lui che veniva dalla provincia mitteleuropea di Losonsz. Forse non si rese conto quanto in realtà fosse stato fortunato; a parte la bellezza del paesaggio, dalla quale fu completamente sedotto, a parte la vita allegra da “Belle Époque” che condusse con gli ufficiali, il “Lanzy” si fece le ossa con una delle migliori orchestre austroungariche del tempo, ed ebbe pure occasione di dirigere, appena un mese dopo il suo “insediamento”, un concerto sinfonico in onore della visita dell’imperatore Guglielmo II.
In programma brani dal “Cornelius Shutt”, del grande (e ancora sempre ingiustamente e scandalosamente emarginato) Antonio Smareglia – che onorò Lehar della sua amicizia –, e il pomposo “Sang an Aegir”, scritto dallo stesso Kaiser. Quel furbone di Lehar diresse il mediocre brano cesareo “come se si trattasse del capolavoro di tutti i tempi, guadagnandosi la stima e la simpatia dell’imperatore tedesco”.
Alla città istriana Lehar deve pure il suo debutto come operettista, in tono minore, con l’anteprima casereccia della “Kukuschka”, prorompente partitura intessuta di motivi popolari russi su libretto del capitano di corvetta Felix Falzari, eseguita nel bellissimo Casinò della Marina.
Andata e ritorno
La prima di “Kukuschka” avvenne comunque a Lipsia nel 1896, ottenendo vivo successo, e il giovane Lehar, sopravvalutando l’effimera gloria piantò Pola, scivolando tuttavia “dalla torta alla pogača”; ossia, dovette riprendere la sua “servitù” nell’87.esimo Reggimento di Fanteria di stanza a Trieste; un bel passo indietro. Il vero successo gli arriderà nel 1905 con “La vedova allegra”. Che susciterà non poche polemiche a motivo delle chiare allusioni alla piccola monarchia del Montenegro – al cui casato apparteneva la Regina d’Italia Elena – qui trasformato in uno staterello d’operetta, Pontevedro.
Secondo il libretto i costumi del secondo atto dovevano essere rigorosamenze montenegrini e per il costume di Danilo si consigliava di copiare pedissequamente quello del principe Nikola di Montenegro, padre della regina d’Italia. Questa aperta satira che metteva alla berlina la terra natale di Elena e la famiglia regnante di Montenegro suscitarono nello staterello balcanico profonda irritazione, mentre alla prima a Trieste ci furono dimostrazioni così clamorosamente ostili da dover sospendere lo spettacolo. Furono lanciati volantini accusatori all’indirizzo di Lehar per aver musicato un soggetto ritenuto offensivo per la nazione slava. Nemmeno altrove mancarono proteste e pure un tafferuglio a Costantinopoli durante la prima. Tuttavia, vuoi per le novità dell’impianto drammatico e le intuizioni del musicista, il successo, planetario, prevalse.
Una miniera di informazioni
Il libro di Marina Petronio, corredato generosamente da foto e manifesti d’epoca, è una vera miniera d‘informazioni tanto utili quanto gustose, e un volume indispensabile per i cultori del genere operettistico in particolare. Immancabili i capitoli dedicati a Sissi, a Napoleone, alle dive del tempo quali la danzatrice Fanny Elsner, via via fino a tempi più recenti e allo spettacolo nel Nuovo Mondo. Abbiamo voluto soffermarci in modo particolare su autori e fatti che ci riguardano direttamente in quanto, a nostro giudizio, meritevoli di essere resi noti sia per il loro rilievo in un contesto culturale più ampio, che per la loro intrinseca saporosità, allusiva a tempi, climi e costumi che stanno alle radici del nostro essere identitario.
Patrizia Venucci Merdžo