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Lo spirito di Trieste (Voce del Popolo 21 gen)

di Aljoša Curavić

Per quanto mi riguarda, non c’è niente di più soddisfacente, per chi osserva le vicende umane, che registrare la cronachetta di un finale di guerra. Fa piacere constatare che esista uno spirito positivo che faccia riferimento ad una città di confine dalla storia contorta e spesso controversa come lo è Trieste. Il piacere è anche più intenso se penso che buona parte del merito per questo “spirito positivo” va addebitata alle minoranze, quella italiana e quella slovena. È questa la trascrizione dello stato d’animo che pare sia emerso dalla visita di Stato, storica, del presidente della Repubblica slovena, Danilo Türk, in Italia, dove è stato ricevuto dal presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano e dalle altre più alte cariche dello Stato. Picchetto d’onore, corazzieri a cavallo, incontro a quattr’occhi con Napolitano, deposizione di corone ai piedi del monumento al milite ignoto, visita in Campidoglio: un’agenda che sancisce lo spirito di Trieste, uscito fuori, lo scorso luglio in piazza Unità, dalla bacchetta del direttore d’orchestra Riccardo Muti. Bene.

La diplomazia, ai più alti livelli, sta facendo quello che deve fare: tessere relazioni pacifiche e costruttive fra i popoli. Ma questo non significa che i rancori e i pregiudizi di confine si siano finalmente dissolti. Gli scogli son sempre lì e sono sempre gli stessi, anche se l’atmosfera è più rilassata, a partire dal rapporto con le minoranze, vezzeggiate in diplomazia, ma strumentalizzate o snobbate nelle politiche interne. Ci sono poi i problemi concreti come quello energetico, che rischia di trasformare l’Alto Adriatico in un poligono di competizione fra Stati con impatti ambientali devastanti; i collegamenti ferroviari, che hanno ancora i ritmi da guerra fredda, il rapporto distorto e manipolatore con l’eredità culturale e artistica, recepita dalle nostre parti in funzione nazionalista, etno-centrica.

Malgrado questo, nelle relazioni umane è importante non solamente ciò che si dice ma anche come lo si dice, e il vertice di Roma ha sicuramente indicato la via giusta, perché le parole possono essere una stretta di mano, ma anche un fendente che ferisce in profondità. Basta che non siano solo chiacchiere.

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