di PIERO RAUBER su Il Piccolo del 13 febbraio 2011
Di questi tempi – tempi di guerre mediatiche senza esclusione di colpi, dove anche l’atteggiamento provocante di una fanciulla ha il suo potenziale di fuoco – la Slovenia ha trovato il modo di prendersi Trieste. Come? Sbattendo una giovane triestina – di nome Giulia Cobez, 26 anni – svestita in prima pagina sull’edizione di Playboy made in Lubiana, e sfiorandone l’ombelico con una scritta bianca, in stampatello maiuscolo, che rispolvera il grido di battaglia di retaggio titino «Trst je naš!», «Trieste è nostra».
Un nudo di donna e un giornale d’altronde – è una delle teorie che ci insegna l’attualità, e mica solo italiana – fanno una miscela esplosiva. Possono rivelarsi l’evoluzione contemporanea della nitroglicerina. A Lubiana sono riusciti a recuperare entrambi gli elementi. E, la loro bomba, l’hanno buttata. Se l’abbiano buttata semplicemente in ridere, oppure nel triviale o persino nell’offensivo – nei confronti della memoria di chi ha sofferto a causa di quel «Trst je naš!» – è una scelta da lasciare alla libera interpretazione dei lettori. Può ad ogni modo essere utile conoscere un ulteriore dettaglio: la data di uscita del numero del Playboy sloveno di cui stiamo parlando. Che – come si può vedere facilmente consultando la relativa versione web della rivista – è quella dell’11 febbraio. Morale: la pubblicazione delle foto senza veli di una ragazza triestina sul magazine erotico probabilmente più sfogliato nella vicina Repubblica e forse anche sul Carso italiano – pubblicazione considerata ironicamente dagli autori una conquista senza mano militare di una città intera, e che città – ha seguito di sole 24 ore le solenni celebrazioni che si sono svolte da Roma a Trieste per il Giorno del ricordo, dedicato alla memoria dell’esodo, degli esuli e degli infoibati. Una puntualità disarmante, tanto per rimanere in gergo pseudobellico.
Ma veniamo alla protagonista del caso – caso per così dire, internazionale, o per lo meno transfrontaliero – che le prime indiscrezioni fanno presumere sia caduta a sua volta dalle nuvole. Non quando ha visto, sfogliando il giornale di Lubiana, le foto che la ritraevano nudissima – quelle, infatti, erano volute, costruite, consapevoli – ma quando ha letto i testi che presentavano e accompagnavano le immagini stesse, a cominciare dal «Trst je naš!» abbinatole in copertina e ripreso nelle pagine interne. Giulia Cobez, come prima cosa, può vantare una certa somiglianza con Paris Hilton. Come si può verificare quindi nella versione web del Playboy sloveno e su un sito chiamato celebrity69 che fa rimbalzare proprio alcuni dei contenuti del Playboy sloveno – avvertenza, la visione è decisamente adatta a un pubblico adulto – è una cittadina di Trieste, è alta un metro e 73 per un peso forma di 53 chilogrammi, e infine ecco le sue misure: 93-70-91. Ah sì. È nata il 6 novembre 1984. Ciò vuol dire che quando è caduto il muro di Berlino – l’evento che avrebbe dato poi il via alla dismissione dell’intera cortina di ferro – aveva cinque anni e tre giorni.
Giulia, oggi, è diventata più famosa di là del confine che non c’è più piuttosto che a casa sua, grazie proprio a questo servizio che le ha voluto dedicare il Playboy di Lubiana. Sentite che cosa dice, a un certo punto, il testo che accompagna questo fotoservizio: «Finalmente – recita la traduzione dallo sloveno adattata all’italiano – siamo approdati al Litorale (e qui il Litorale sta per il territorio regionale di Capodistria, Isola e Pirano, ndr). All’incontro con Playboy Giulia è arrivata da Trieste. Non è rimasta ”catturata” dalla lingua slovena, ma non nasconde di avere geni di origine slovena. Infatti lo zio, che è triestino della minoranza, le sta insegnando la lingua». E qui viene l’inno alla libertà. In tutti i sensi: «Come a suo tempo i partigiani hanno liberato Trieste, così noi di Playboy l’abbiamo liberata dai suoi vestiti. Viva la libertà!».
Tale testo – come si può vedere sempre su internet – fa da ”scorta”, relegato sulla destra, a una grande foto in cui la giovane triestina sta leggermente di schiena, appoggiata su una poltrona in pelle color rosso. Indossa – stando alla prospettiva da cui è stata scattata quest’istantanea – soltanto un paio di scarpe, i tacchi a spillo, un braccialetto. La matita nera le contorna gli occhi. Non c’è altro. Di fronte a lei, all’altezza dei suoi stessi occhi, inserito sempre nella foto, c’è un quadro appeso alla parete che sta dietro, appena, alla poltrona. La cornice del quadro è spessa, dorata, dà la sensazione d’essere tronfia. All’interno si scorge nitidamente una suggestiva immagine di piazza Unità, di notte, col Municipio illuminato. Poco più in là, a destra, fuori dall’istantanea, sopra il testo in cui si inneggia alla libertà offerta alla città dai titini, e alla libertà offerta da Playboy alla ”mula”, di nuovo quella scritta. Bella grande, perché fa da titolo al tutto. È rossa. Su sfondo nero. «Trs je naš!»