Incontro Napolitano-Turk a Roma, Giorno del Ricordo e ancora prima il concerto del 13 luglio a Trieste: tutto ancora palpabile, nell’aria, anche la richiesta del Presidente sloveno di “rendere visibili” i quadri delle chiese del Capodistriano, messi in salvo allo scoppio della seconda guerra mondiale, custoditi per decenni a Roma e poi restaurati ed esposti in una splendida mostra a Trieste. Ed infine ricoverati nella galleria del Civico Museo Sartorio di Trieste.
A muoversi ora è il mondo dell’Esodo. Questa mattina, una delegazione della FederEsuli guidata dal Presidente Renzo Codarin, ha incontrato il massimo rappresentante della Direzione Regionale dei beni Culturali del FVG, Giangiacomo Martines, per chiedere ufficialmente il suo impegno per dare ai quadri cosiddetti “istriani” una giusta collocazione. E’ opinione condivisa che la destinazione degna e naturale possa essere il costituendo Civico Museo della Civiltà Istriana Fiumana e Dalmata che dispone degli spazi necessari ed adatti, oltre ad un giusto contesto logistico e concettuale per permettere all’esposizione di esprimere al meglio il proprio valore storico, civile ed artistico.
Le opere così sistemate diventerebbero una meta per studiosi e pubblico di grande richiamo, di indubbio interesse, a disposizione di tutti ma soprattutto testimonianza di un processo ormai ampiamente riconosciuto a cavallo di confine. Un segno del tempo che muta e riesce a darsi una giusta dimensione e serenità.
Il Direttore Martines, si è impegnato ad avviare l’iter stabilito in questi casi: vale a dire un sopralluogo nella galleria del Sartorio per una valutazione tecnica sui quadri da inviare al Ministero con la richiesta di nuova collocazione. Modi e tempi saranno stabiliti dalle regole dell’amministrazione stessa. Un passo importante comunque è stato fatto e sarà seguito da tanti altri necessari a portare a termine il progetto con il concorso di tutti i soggetti interessati a livello locale e ministeriale.
I quadri “istriani” furono messi in mostra a Trieste nel 2005, anno in cui Martines lasciava il suo incarico di Sovrintendente. A distanza di sei anni, il suo rientro in Regione lo mette ancora una volta, com’è spesso nel destino delle cose e delle genti, a capo di un’iniziativa che li riguarda.
Si tratta di una ventina di opere di grandi dimensioni la cui storia rappresenta uno spaccato di vita locale, strettamente intrecciata a quella civiltà che l’esodo ha dissolto ma non del tutto disperso.
Tra i capolavori d’arte restaurati troviamo un rilevante gruppo di opere pittoriche di epoca rinascimentale, prodotte tra la metà del XV secolo e il 1550 da maestri veneziani o veneti, importanti per comprendere le caratteristiche dei contatti artistici tra le due sponde dell’Adriatico, la capitale della Serenissima da un lato e il territorio costiero dall’Istria a Ragusa dall’altro, che, se già effettivi almeno dal Trecento, divengono più intensi e rilevanti dopo la pace di Lodi del 1454.
Testimoniano una lunga consuetudine di rapporti tra Venezia e l’Istria, che non sono costituiti solo da relazioni di tipo economico o politico, ma che si concretizzano anche nell’invio di opere dalla città lagunare, nel movimento reciproco di pittori e in una fitta trama di relazioni.
Spesso così si scoprono i committenti dei quadri e si comprendere l’humus culturale e sociale in cui questo tipo di produzione aveva successo.
Emblematiche alcune opere: la dolcissima Madonna con il Bambino di Alvise Vivarini, del 1489, eseguita per la chiesa di San Bernardino a Portorose, tanto per fare un esempio. Ma anche tutte le altre in un carosello che può aggiungere contenuti alle ricchezze artistiche del territorio.
(rtg su www.arcipelagoadriatico.it – foto CDM)
(un momento dell'incontro con il Direttore Giangiacomo Martines)