Esodo «Nell'ottobre '46 partimmo con la motonave "Saturnia" lasciando tutto: casa, lavoro, un uliveto»
Pulizia etnica «Nelle foibe finivano per prime le persone più in vista sacerdoti, medici, farmacisti, insegnanti»
«Quando i partigiani arrestarono mio padre»
La famiglia Toffetti fuggì in nave
Profughi istriani s'imbarcano a Pola per fuggire dalla loro terra ceduta alla Jugoslavia di Tito
■ «I partigiani titini entrarono in casa nostra, a Dignano d'Istria, e arrestarono mio padre. Lo vedo ancora sulla porta, e ho quel pensiero: finirà in una foiba».
Gianna Toffetti ha 71 anni: è molto conosciuta in città sia perché ha insegnato a lungo inglese nelle scuole medie, sia perché presiede il Volontariato Vincenziano, al Duomo.
«Era il 1946: a mio papà andò bene, perché dopo gualche giorno venne scarcerato».
Ma la famiglia Toffetti, come gran parte di quelle che si trovavano della "zona B" dell'Istria, sotto l'influenza jugoslava, capì che la situazione stava diventando troppo rischiosa. «Era una sorta di pulizia etnica. Nelle foibefinivano per prime le persone più in vista: i sacerdoti, i medici, i farmacisti, gli insegnanti. Il tentativo era di creare un'atmosfera di terrore, per far scappare tutti».
Non restò allora che imboccare la strada dell'esodo: «Nell'ottobre '46 ci trasferimmo nella "zona A", intorno a Trieste, controllata dagli Alleati:partimmo con la motonave "Saturnia". Quella dei miei non era una famiglia ricca, ma stava abbastanza bene. Lasciarono tutto: il lavoro, la casa, un oliveto».
A Trieste i Toffetti avevano un cugino, Gianni Bartoli, che in seguito divenne sindaco della città e ne promosse la "seconda redenzione", con il ricongiungimento all'Italia. «Si era laureato al Politecnico di Torino:fu Ma suggerirci di emigrare in Piemonte».
La famiglia esule approda a Torino nel febbraio del '47. Per quattro giorni abita alle "casermette" di borgo San Paolo, poi viene a sapere che il parroco di Andezeno ha un paio di camere che mette a disposizione dei profughi. (Avevo iniziato la terza elementare a Dignano, l'ho proseguita a Pola e l'ho terminata ad Andezeno, in una plurìclasse», ricorda. Come vi accolsero gli andezenesi? «Molto bene, con tanta cordialità. Addirittura ricordo che il giorno del mio compleanno non a-vrei potuto avere una torta, perché non disponevamo del forno. Me la cucinò la contessa Maria Teresa Balbiano d'Aramengo, che poi divenne famosa a "Lascia o raddoppia?"».
Nel frattempo il papà di Gianna Toffetti aveva trovato lavoro a Chieri: prima in una falegnameria, e poi al molino Persico al fondo di via Roma. «Il Comune ci assegnò una stanza in via San Giorgio, nell'edificio degli ex combattenti Confinavamo con la sala da ballo, per cui la domenica sera avevamo il concerto in casa».
Nel '51 arriva il trasferimento nelle prima "case Ina", appena costruite in via Colomiatti: «Mia madre non aveva più trovato un lavoro come impiegata, e allora aveva comperato una macchina per maglieria: cosi lavorava in casa».
Che cosa pensa di quella parola, "foibe", che non ci sarà sulla lapide che verrà scoperta domani, sabato, al. Parco della Rimembranza? «E' un termine ormai conosciuto da pochi. D'altra parte di recente uno studioso ha esaminato 31 libri scolastici di storia: solo due parlavano del dramma delle foibe».
(courtesy MLH)