di MARIO AVAGLIANO
E' una mattina di fine febbraio del 1947. Pola è imbiancata dalla neve. Una lunga processione di uomini, dorme e bambini si dirige mestamente verso il piroscafo "Toscana", attraccato al molo Carboni. Il 10 di quel mese a Parigi è stato firmato il Trattato di pace con cui l'Italia perde definitivamente Pola, Fiume e Zara, a vantaggio della Jugoslàvia del maresciallo Tito. Una data triste che molti anni dopo, grazie a una legge del Parlamento del 2004, segnerà per il nostro Paese il Giorno del Ricordo.
L'esodo è l'unica disperata via d'uscita per migliaia di italiani dell'Istria e della Dalmazia. Tra di loro c'è una giovane vedova di nome Claudia Smare-glia, vestita con un cappotto scuro, che assieme al figlio quattordicenne trascina a fatica delle pesanti valige in cui è chiusa una vita intera.
Sono due dei 34 mila esuli polesani (su 36 mila abitanti) che in quel febbraio si imbarcheranno sul "Toscana" per raggiungere Venezia e Ancona, mentre treni e barche trasportavano 60mila tonnellate di mobili, indumenti, ricordi. Il bel ragazzo dal ciuffo ribelle è Sergio Endrigo e ha già il fuoco della musica nelle vene. Non dimenticherà mai quel viaggio e ne parlerà in alcune delle strofe (che fatica essere uomini / partirà / la nave partirà / dove arriverà/questo non si sa) di una delle sue canzoni più celebri, "L'arca di Noè", classificatasi terza a Sanremo nel 1970.
È una delle tante storie raccolte da Gianni Oliva nel suo nuovo lavoro Esuli. Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia (Mondadori, pagine 192, euro 22), uscito in questi giorni in libreria. Un volume fatto di immagini in bianco e nero, che trasmettono emozioni e sentimenti di quel terribile periodo. Ricordando che alla violenta guerra d'aggressione dell'Italia fascista nei Balcani (su cui-lo stesso Oliva si è soffermato nel saggio Si ammazza troppo poco, facendo luce sui crimini di guerra commessi dal nostro esercito di occupazione), seguì la sanguinosa reazione dei partigiani comunisti di Tito. Con infoibamenti, esecuzioni sommarie, persecuzioni etniche. Fino alia fuga forzata di 350 mila italiani dai luoghi in cui vivevano fin dai tempi della Repubblica di Venezia.
Di questo album dell'orrore del dopoguerra sul confine orientale restano impresse le fotografie macabre dei corpi recuperati dalle foibe ma anche le istantanee dell'angoscia delle famiglie italiane sradicate da un giorno all'altro dalla propria terra, come quella del negoziante che, all'atto di abbandonare la sua bottega, affigge un cartello con la scritta "Saluti e grazie a tutti i clienti e buona fortuna".
Dalle immagini alle parole.
I testimoni muti di Diego Zandel (Mursia; pagg. 218, euro 15,00) è un romanzo della memoria che dà voce, attraverso la narrazione dello stesso autore bambino, alle migliaia di italiani istriani, fiumani, dalmati che dopo la fuga dovettero affrontare la miseria e la desolazione dei campi profughi allestiti in Italia. Le memorie familiari e personali si alternano alle vicende di person ecomuni travolte dalla Storia, come il soldato tedesco Ernst, prima occupante temuto e poi prigioniero dei titini; Remigio, comunista italiano arrestato dalla polizia jugoslava e scomparso nel nulla; il fiumano mezzo croato e mezzo italiano, mai stato fascista ma perseguitato dagli jugoslavi per il suo essere anche italiano.
Un altro libro toccante per ricordare quella tragedia a cui per troppo tempo, come ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è mancato "un riconoscimento umano e istituzionale".
(courtesy MLH)