La stanza di Mario Cervi
La tragedia dell’Istria non è imputabile agli angloamericani
Caro Cervi,
Mi riferisco alla sua Stanza di qualche giorno fa. Sono un esule istriano e condivido integralmente, ripeto integralmente, quanto scritto dal signor Luciano Valenta. È la prima volta, dalla nascita del Giornale, che mi trovo in totale disaccordo con il suo pensiero. Le guerre non si dovrebbero mai fare (veda quella in atto con la Libia) ma una volta decise bisogna portarle avanti con onore e sacrificio. La nostra tragedia è iniziata l’8 settembre e le colpe non sono da attribuire a chi decise la guerra (dove mi lascia Vittorio Emanuele III?) ma a fattori, come lei sa, ben più complessi. Non pensa che tutte le nazioni, Inghilterra, Francia, America in testa, non abbiano avuto un ruolo primario nella immane tragedia? L’orrore delle foibe non appartiene solo alla disfatta, ai titini ed ai comunisti, ma soprattutto alla volontà dei vincitori che non vollero contrastare quanto fatalmente sarebbe accaduto. Chi permise a Tito di attestarsi in Trieste come padrone per 40 giorni? Perché Freyberg, con la sua divisione di australiani si fermò tre giorni a Monfalcone? Questi sono i veri occulti colpevoli. Dovremmo fare un monumento in ogni città a Maria Pasquinelli, forse neppure istriana, che vendicò con qualche colpo di rivoltella tutte le sofferenze di noi istriani. Sono profondamente avvilito ed anche umiliato che un gentiluomo come lei non abbia saputo cogliere nelle parole dell’esule il profondo dolore di quegli avvenimenti lontani. Le sarò grato se potrà far avere al signor Luciano Valenta la mia lettera. Continuerò a leggerla ma, non le nascondo, con minor diletto.
Antonino Azzarà – Genova
Caro Azzarà,
non vorrei proprio scontentare un lettore fedele e attento quale lei è, ma ritengo di dover insistere. All’appassionato atto d’accusa di Luciano Valenta contro quanti hanno causato o aggravato la tragedia degli istriani avevo opposto un’ obiezione: quella che non fossero stati citati, tra i colpevoli dei lutti, delle sofferenze e dell’esilio, il fascismo e Mussolini. Perché, argomentavo, tutto era derivato dalla partecipazione alla seconda guerra mondiale e dalla sconfitta. Lei contesta questa tesi, fa datare le sventure istriane dall’8 settembre 1943 così assolvendo chi decise l’intervento. E mi chiede, proprio a proposito dell’intervento stesso, dove io lasci Vittorio Emanuele III. Lo lascio al suo ruolo di comprimario coronato. Assecondò il Duce, e ha pagato con la perdita del trono, ma l’iniziativa non fu sua. Secondo lei l’occupazione titina di Trieste e il calvario delle terre strappate all’Italia dipesero dalla volontà dei vincitori angloamericani. Così forte è la sua convinzione da indurla a proporre monumenti per Maria Pasquinelli, che lo stesso giorno della firma del trattato di pace a Parigi -10 febbraio 1947 – uccise a Pola il generale inglese De Winton. Ho avuto e ho la massima comprensione per quel gesto, scaturito da un vortice di emozioni e frustrazioni terribili. Ma il trasformare colei che lo compì in un’eroina per avere punito esemplarmente un incolpevole generale mi pare profondamente sbagliato. Intendiamoci, gli alleati hanno commesso errori tremendi sia in Italia sia altrove, impedirono a esempio che fossero portati aiuti alla divisione Acqui a Cefalonia l’indomani dell’armistizio (ma un tremebondo Badoglio non aveva saputo far suo il progetto di far atterrare vicino a Roma l’ottantaduesima divisione aerotrasportata.).Ci furono indugi deleteri e condiscendenze fatali verso gli avanzanti sovietici – nella Germania in rotta – e verso gli avanzanti titini, dalle nostre parti.Gli inglesi in particolare ebbero un atteggiamento freddo e a volte ostile e punitivo. Ma era difficile aspettarsi qualcosa di diverso dal Paese bollato per anni dalla propaganda fascista come la perfida Albione, e stramaledetto. Lei chiama in causa Inghilterra, Francia, America. L’Italia proprio non aveva nulla da rimproverarsi? Non pretendo un giudizio distaccato da chi si sente coinvolto a fondo negli avvenimenti, e nel dolore. Mi rendo conto di tutto, rispetto tutto. Ma altra cosa è la commozione, altra è la valutazione storica. Lo scrivo, caro Azzarà, con amicizia, e nella speranza che lei la ricambi.
(courtesy MLH)