di Fabrizio Vincenti su La Gazzetta di Lucca del 30 aprile 2011
Molto sono con i capelli bianchi, ma non tutti. Tra di loro anche i figli, talvolta i nipoti, degli esuli istriani, dalmati e fiumani che nel tragico secondo dopoguerra dovettero lasciare le loro case, tutti i loro averi e, prima ancora l’anima, i ricodi dei posti cari sotto la brutale pressione delle truppe comuniste del maresciallo Tito. In 1200, in un arco temporale che va dal 1947 al 1956 finirono dopo mille peripezie e altrettante umiliazioni a Lucca. Concetrati per la maggior parte nello spazio del Real Collegio, dietro San Frediano e alcuni nella chiesa di Santa Caterina, vicino l’ex Manifattura Tabacchi. Tempi duri per loro: visti come fascisti dai titini, anche se non lo erano certo la maggioranza, visti come fascisti dai comunisti italiani che non capivano come questa gente lasciasse un paradiso terrestre quale veniva dipinta la Jugoslavia. Dunque, se fuggivano, erano di sicuro fascisti. E del resto delle foibe che inghiottirono migliaia di persone non si poteva parlare. Come pure delle accoglienze fatte in città come Bologna dove i ferrovieri minacciarono lo sciopero se il treno contenente uomini, donne, bambini si fosse fermato in stazione solo per essere rifornito di beni di prima necessità. Altrove andò anche peggio, del resto. Eppure questi erano due volte italiani: per nascita e per scelta, visto che la decisione di conservare la cittadinanza era equivalsa all’esilio. Il loro sacrificio non solo è rimasto sotto silenzio per decenni, ma addirittura misconosciuto.
Oggi alcuni di loro – a Lucca circa un centinaio di famiglie sono discendenti di questi esuli italiani – si sono ritrovati nella sala di rappresentanza della Provincia per la presentazione del volume “La Provincia di Lucca rompe un lungo silenzio e dà voce agli esuli dell’Istria, Fiume e Zara”. Il volume curato dalla giovane Viviana Dinelli, delegata lucchese dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, racconta attraverso le testimonianze di 14 esuli giunti a Lucca, come vissero quei momenti, quale fu l’accoglienza della città, quale il loro tormento per le proprie terre di origine perse per sempre. Una pubblicazione, realizzata grazie alla Provincia e alla Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno, destinata ad essere un documento di eccezionale importanza per capire quella tragedia e calarla nella nostra realtà cittadina.
Giovanni Gemignani, presidente del consiglio provinciale, non a caso ha parlato di giustizia che ancora deve essere resa a questa gente: “Dopo tanti silenzi e tantissimi anni questa persone cercano ancora la giustizia negata loro dai trattati internazionali come quello di Osimo. Leggere questo libro trasmette emozioni e fa soffrire”. Franco Fabbri, presidente del consiglio comunale di Lucca ha sottolineato come “Nell’anniversario del 150° questo dramma rispecchia un momento importante della storia del nostro popolo e anche una vergogna nazionale per il tempo che c’è voluto per far venire a galla la verità. La storia si fa con tutte le proprie pagine”.
Stefano Baccelli presidente della Provincia parla della vicenda degli esuli come di un simbolo: “Sono un simbolo di come si devono cercare le verità nascoste e raccontarle anche quando fa male”. Il tema dello sradicamento è stato ripreso dal consigliere nazionale dell’ANVGD Tarabelli, ma, soprattutto dall’autrice del volume, Viviana Dinelli: “E’ stata dura per quelle persone lottare contro lo sradicamento e la diffidenza che anche qui si manifestò anche se non ci fu ostilità contro gli esuli. Le loro testimonianze sono da riprendere come messaggio da portare nelle scuole”.
Alla fine, a prendere la parola, sono stati proprio gli esuli e i figli degli esuli, ancora con il loro accento musicale che ci ricorda il nostro confine est, con le loro lacrime nel ricordo degli addii, con le loro parole ricche di sofferenze morali, ma anche fisiche, viste le torture a cui furono sottoposti molti italiani di quelle zone da parte dei comunisti slavi. Ma sempre con una grande dignità, quella, per esempio, di una signora che si è portata al tavolo degli oratori con i suoi 84 anni ed una bandiera tricolore cucita dalla nonna nel 1918. Da tre generazione se la porta dietro. Se la porta dietro per sempre.
(courtesy MLH)