Pci e tricolore: le parole di Togliatti
Piero Ostellino, nella sua rubrica «Il Dubbio» (Corriere di ieri), senza dubbi, scrive: «Fino all’altro ieri, chi parlava di Patria, per non dire di Nazione, esponeva il tricolore, cantava l’inno di Mameli, esaltava il Risorgimento — cui si contrapponeva l’interpretazione (sbagliata) di Gramsci come rivoluzione agraria (sociale) mancata — era tacciato, dalla sinistra, di fascismo». Non posso in poche righe contestare l’interpretazione banale di Ostellino degli scritti di Gramsci sul Risorgimento. Taccio. A proposito della Patria e del tricolore, invece, potrei citare almeno 100 (dico cento) discorsi di Togliatti, Longo e Berlinguer (per citare solo i segretari del Pci) che smentiscono Ostellino. Ma ne cito uno solo, di Togliatti, significativamente pronunciato nel 1945 (7 aprile) al Consiglio nazionale del partito: «Sentiamo il dovere di ripetere che i cittadini i quali si battono per la Patria e la libertà non hanno bisogno di avere nessun colore. Essi sono tricolore perché l’Italia è tricolore».
Emanuele Macaluso
L’interpretazione «banale» sul Risorgimento di Ostellino è la stessa di Rosario Romeo, con De Felice, sul fascismo — altro banalizzatore? — uno dei due grandi storici italiani della seconda metà del Novecento. Quanto al Pci di Togliatti, credo sia inutile ricordare all’amico Macaluso che cosa è stato: ci siamo già scordati il «viaggio attraverso le istituzioni» (anche a tricolore spiegato), mentre si proponeva al Paese (in piazza) un modello di società marxista-leninista o, se si preferisce, la sua conquista gramsciana (case matte — scuola, editoria, magistratura — comprese) e in Parlamento ci si «consociava» con la Dc? Ci siamo dimenticati che i comunisti condannavano — tacciandoli di fascismo — gli italiani che fuggivano dal «paradiso socialista» dell’Istria di Tito per venire a vivere nella loro Patria, l’Italia?
Piero Ostellino
(courtesy MLH)