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Crediti italiani e dissolvimento jugoslavo (Il Giornale 26 mar)

La stanza di Mario Cervi
 

Quei crediti italiani e il dissolvimento dell’ex Jugoslavia

Con riferimento ai contenuti pubblica­ti il 19 marzo scorso concordo piena­mente che la perdita di una parte del­l’Italia fu certamente dovuta alla follia di Mussolini. Però prima che il trattato di Pace di Parigi del 1947 fosse ufficia­lizzato gli alleati, con l’esclusione degli slavi, ci offrirono la possibiltà di effet­tuare il plebiscito sull’Istria italiana in quanto sull’85 per cento delle abitazio­ni garriva la bandiera tricolore italia­na! Ma Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dei ministri, si oppose e così l’Istria fu perduta! Era folle pure De Gasperi? No, egli fece quella scelta perché se avesse autorizzato il plebiscito in Istria tale procedura avrebbe do­vuto essere svolta nel Trentino-Alto

Adige e De Gasperi era trentino. Ma al­tri folli italiani, nei governi degli anni Novanta, hanno rinunciato in modo ri­sibile all’evidente possibilità di riotte­nere le terre perdute per l’esito negati­vo della Seconda Guerra Mondiale. Cioè di riottenere la terre perdute, paci­ficamente, in quanto il Trattato di Pace del 1947 e quello di Osimo del 1975 si sono estinti al dissolvimento della Jugo­slavia. Il recupero dei territori era facilitato dagli atti della Conferenza di Hel­sinki del 1967 e da quelli della Confe­renza dell’Aja del 1991 espletata speci­ficatamente sulla ex-Jugoslavia, oppu­re da accordi diretti o con il ricorso al Tribunale dell’Orni in Olanda. A tutt’oggi nessuna legge costituzionale, ottemperante agli art.5 e 80 della Costituzio­ne, è stata promulgata per assegnare i territori in argomento alle neonate re­pubbliche di Slovenia e Croazia (istitui­te nel 1991 ) che occupano nostri territo­ri con l’assordante silenzio delle nostre folli autorità. I territori richiamati so­no quelli che hanno completato l’Unità d’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, guerra costata all’Italia 680mila caduti e oltre un milione di feri­ti, moltissimi dei quali sul fronte orien­tale. È possibile allora fare chiarezza sui nostri confini orientali, fatto scono sciuto ai più, o sono semplicemente fol­le perché innamorato della terra dove sono nato?

Alfiero Bonaldi

 
Caro Bonaldi, con questa risposta vorrei chiudere il tema dell’Istria. Non posso escludere del tutto che il timore di perdere l’Alto Adige abbia influito sui comportamenti di Alcide De Gasperi. Il ti­more era fondato. Ma non ci fu da parte dei vincitori una espli­cita offerta di sottoporre a voto popolare la sorte dei territori contesi, che erano nelle mani di Tito, ancora spalleggiato dall’Urss. Quand’anche si fosse andati alle urne, lo si sarebbe fatto sotto supervisione titina, con tecniche che i regimi comu­nisti sanno benissimo adottare (del resto infuria tuttora da noi la polemica antirisorgimentale sui «plebisciti burletta» per le annessioni). Ma l’ipotesi fu accantonata, venne evitata l’adozione della linea di confine «sovietica», che ci avrebbe fatto perdere anche Trieste e Gorizia – Togliatti era a favore – e si adottò la peggiore tra le linee occidentali, quella del france­se Bidault. Non credo che De Gasperi potesse fare di più. Lei parla di «evidente possibilità», perduta per incapacità dei governi di recuperare negli anni Novanta almeno un parte di ciò che ci era stato tolto. Il dissolvimento della Jugoslavia avrebbe consentito, secondo il suo ragionamento, di sollevare un contenzioso internazionale con buone probabilità di successo. Non voglio addentrarmi nel dedalo dei trattati, che temo ci porterebbe entrambi troppo lontano. Mi limito a ricor­dare un dato di fatto. Dei due grandi sconfitti nella seconda guerra mondiale – Germania e Giappone – nessuno ha voluto utilizzare il crollo dell’Urss per un’operazione revanscista. Non l’ha fatto la potente Germania, le cui mutilazioni sono state molto più gravi di quelle – pur dolorosissime – che ha subito l’Italia. Non l’ha fatto il Giappone che pure rivendica la sovranità di alcune delle isole Curili, passate all’Urss. La Prus­sia orientale, con Koenigsberg città natale di Kant, rimane a sovranità russa. Lei non ritiene che, zigzagando nei labirinti del diritto internazionale, Giappone e Germania avrebbero potuto destarsi? L’hanno evitato, ritenendo evidentemente che una revisione di quella portata sia improponibile p er una serie di motivi che non appartengono al diritto dei codici, ma agli imperativi della Realpolitik. Davvero lei è convinto che l’Italia da sola abbia il prestigio, l’influenza, i mezzi necessari per proporre e ottenere ciò cui hanno rinunciato Germania e Giappone?

(courtesy MLH)

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