ISOLA D’ISTRIA È una sera dell’aprile 2011 e a Isola d’Istria si parla di Garibaldi. L’incontro si svolge nella casa dove nel 1842 nacque un garibaldino, amico dell’Eroe dei due mondi, oltre che scienziato e professore: Domenico Lovisato. Oggi Palazzo Manzioli, a Isola, è sede della Comunità degli italiani e sulla sua facciata campeggia la lapide che ricorda Lovisato «che il nome istriano onorò nelle cattedre universitarie e sui campi di battaglia con Garibaldi che l’ebbe carissimo».
Ma quella lapide è stata rimessa al suo posto appena quattro anni fa, nel 2007. «E tra coloro che l’hanno ricollocata – racconta Silvano Sau, animatore della comunità italiana locale – c’era almeno uno di quelli che oltre cinquant’anni prima l’avevano buttata giù». «Nel 1953, per volere del “potere popolare” al quale dava disturbo l’opera di questo studioso che in vita, durante la presenza dell’impero austroungarico, aveva professato anche il suo profondo atttaccamento all’identità nazionale italiana – si legge sul Mandracchio online, portale della comunità italiana di Isola – la lapide venne tolta di nascosto e mai più ritrovata». «Negli ultimi decenni – lamenta lo storico piranese Kristjan Knez dinanzi a una platea attenta anche se avanti con gli anni – c’è stata la volontà sistematica di rimuovere tutto ciò che era stato espressione di sentimenti italiani.
Dal 1945 è stato privilegiato il discorso univoco dei movimenti nazionalisti sloveno e croato. C’era quasi un divieto sacrale di parlare della storia italiana perché l’italianità espressa anche in periodo risorgimentale veniva etichettata come preludio al fascismo». E Fulvio Senardi, professore triestino, ha messo in guardia dagli attacchi che dallo stesso suolo italiano vengono portati a Garibaldi tacciato di essere stato al soldo degli inglesi oppure uno strumento della Massoneria, in particolare da ambienti vicino alla Lega o da nostalgici filoborbonici o clericali, «mentre la sua – ha affermato – è una figura di eroe a tutto tondo».
Di Lovisato, Salvatore Moscolin ha ricordato che, «frequentato il ginnasio di Capodistria, per ben otto volte deve subire il carcere austriaco prima di passare all’università di Padova». E ancora che «già nel 1866 era a combattere con Garibaldi alla Bezzecca; ed era a Pola, sotto le spoglie di muratore, e asportava i piani delle fortezze per consegnarli alle autorità militari italiane o a Giuseppe Garibaldi stesso». Nel 1915 chiede di seguire l’unico figlio Mario «sul campo della gloria». «Voglia accettare – scrive al generale Zuppelli, ministro della guerra – questo avanzo di camicia rossa».
Ma gli anni sono troppi, 73 per l’esattezza, Lovisato si ammala e nel 1916 muore senza fare in tempo a vedere l’Istria unita all’Italia. s.m.
(courtesy MLH)