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Beni in Croazia, all’esame richeiste degli italiani (Il Piccolo 22 mag)

Un’altra svolta nella questione dei beni abbandonati in Croazia la si è avuta nell’agosto scorso allorché la Corte suprema croata, in disaccordo con il Governo, ha convalidato la sentenza emessa nel 2008 dal Tribunale amministrativo di Zagabria che aveva dato ragione a una brasiliana di origini ebraiche, Zlata Ebenspanger, la quale aveva chiesto la restituzione di una palazzina di sua proprietà in via Radic 35 nella capitale croata che era stata espropriata ai tempi di Tito. L’anno scorso si è appreso che da quando nel 1991 la Croazia è divenuta uno Stato indipendente sono stati 4.211 gli stranieri che hanno chiesto la restituzione di beni espropriati. Di questi, 1.034 italiani tra cui anche i Luxardo eredi del più vecchio stabilimento industriale di Zara: la distilleria del famoso Maraschino.

di Silvio Maranzana

TRIESTE Le autorità croate esamineranno le richieste di restituzione dei beni abbandonati dagli italiani, espropriati o nazionalizzati da Tito. Le amministrazioni croate hanno infatti inviato nelle settimane scorse lettere agli oltre mille profughi italiani che tra il 2002 e il 2003 avevano fatto domanda di restituzione dei beni. In esse si chiedono alcuni documenti integrativi e la traduzione nella lingua croata. Ultimamente non è intervenuto alcun mutamento nella legislazione croata che ancora non ammette restituzioni o indennizzi nei confronti dei cosiddetti “optanti”, cioé degli esuli che dopo il Trattato di Parigi del 1947 (e dopo quello di Osimo per quanto riguarda la Zona B) abbiano optato per la cittadinanza italiana. Non era mai successo però che le stesse autorità d’oltreconfine sollevassero “motu proprio” la questione. E infatti anche negli ambienti dei profughi l’iniziativa, pur senza sollevare aspettative, è stata accolta positivamente. «Le acque in qualche modo si sono finalmente smosse», è il commento di Renzo Codarin vicepresidente dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. E Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega nazionale, aggiunge: «Un piccolo segnale di attenzione, anche per i profughi la speranza è l’ultima a morire e forse ancora non è morta». Tiziano Sosic, viceconsole onorario d’Italia a Pola oltre che avvocato, conferma che molti sono stati gli italiani che hanno deciso di insistere, che hanno inviato i documenti aggiuntivi e le traduzioni richiesti. In non pochi casi le autorità croate hanno anche concesso una serie di proroghe. Per la maggior parte dei casi a interessarsi delle richieste non sono i profughi stessi, deceduti o comunque molto avanti con gli anni, ma i figli se non addirittura i nipoti che magari avrebbero diritto al bene dal punto di vista ereditario. In ballo vi sono terreni, ma anche case, locali d’affari, fabbriche. La questione, nemmeno affrontabile ai tempi della Jugoslavia, è incominciata a mutare nel 1999 allorché la Corte costituzionale croata ha abrogato l’articolo della legge che limitava la restituzione dei beni ai soli cittadini croati. Come rilevato da Ezio Giuricin sul sito web “Coordinamento adriatico” le modifiche proposte dal Governo croato però non cambiano la situazione poiché resta in vigore l’articolo 10 che stabilisce che il diritto alla restituzione non si applica nei casi in cui la materia sia stata regolata da accordi internazionali o bilaterali. È il caso degli “optanti” per i quali la questione patrimoniale è regolata dall’accordo firmato a Belgrado il 23 maggio 1949 e con l’intesa del 18 febbraio 1983 seguita al Trattato di Osimo. «Ci vuole ancora una modifica della legge», fa rilevare Codarin. È questo l’obiettivo tuttora nel mirino di Furio Radin che rappresenta la comunità italiana nel Parlamento croato, il Sabor. L’intento è di modificare gli articoli della proposta governativa che privilegiano unicamente i cittadini croati e coloro che avevano la cittadinanza jugoslava al momento delle nazionalizzazioni. «Forse basterebbe – aggiunge Sardos Albertini, che è anche avvocato – che nel corso delle cause che si apriranno ora grazie a queste richieste integrate, la legge venisse applicata in modo meno restrittivo. Sarebbe anche un segnale importante da parte della Croazia per entrare nell’Unione europea».

 

(courtesy MLH)

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