Mirko Molteni
■■■ Con Marco Pirina, stroncato lunedì sera a 68 anni da un infarto a Dobbiaco, se ne va uno dei maggiori studiosi della tragedia delle foibe e delle vendette partigiane nel nordest. Studioso e storico delle vicende della Frontiera Orientale d’Italia, è stato il fondatore nel 1988 del Centro di Ricerche Storiche “Silentes loquimur” di Pordenone.
Le sue ricerche hanno permesso negli ultimi 20 anni di squarciare il velo dell’omertà sugli eccidi causati dai partigiani jugoslavi del maresciallo Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
Il suo instancabile investigare era la dimostrazione vivente del vero spirito della storia, che fin da Erodoto aveva preso questo nome, dal greco “Historia”, che significa appunto “indagine”, “inchiesta”.
Peraltro già collaboratore di Libero, fra le sue numerose fatiche, negli ultimi tempi aveva fatto discutere il quarto volume del suo Registro delle vittime del Confine Orientale, presentato nel 2010. La ricostruzione puntuale, quanto drammatica, delle vite di ben 7.200 persone uccise nell’ultimo scorcio della seconda guerra mondiale, ma anche nei primi anni di pace, per la “svendita” delle terre di confine al comunismo jugoslavo.
Tante storie di dolore, dimenticate per non turbare gli equilibri di Yalta. Come quella del brigadiere Paolo Bassani di Vicenza, scomparso a Gorizia: atteso per dodici anni dalla moglie che ogni sera accendeva una candela affinché il marito ritrovasse la via di casa. O il tenente della guardia di finanza Pietro Stefanetto, infoibato. Per non parlare della emblematica vicenda di Norma Cossetto, giovane italiana sottoposta nel 1943 per un intera notte a inenarrabili sevizie da parte di un gruppo di partigiani yugoslavi e infine uccisa.
Tragedie nascoste, di cui l’Italia postbellica non doveva far menzione, ma che grazie a Pirina e ai suoi collaboratori sono tornate alla luce. Dagli almeno 21 anni di investigazione su 47 fonti d’archivio, lo storico traeva queste imbarazzanti verità: «Il 14 aprile 1945, Umberto II (luogotenente d’Italia dopo la fuga di Vittorio Emanuele) emanò un decreto luogotenenziale del Regio Esercito, nel quale i partigiani venivano dichiarati “cobelligeranti”, vale a dire militari a tutti gli effetti. In pratica, tutto questo significa che i partigiani macchiatisi dei crimini più efferati non dovevano essere amnistiati, ma sottoposti alla convenzione di Ginevra. Pertanto, quando Palmiro Togliatti, nel 1946, coprì con l’amnistia gli eccidi partigiani commessi fino al 15 maggio 1945, commise un errore di valutazione perchè, essendo ancora in vigore il regno d’Italia, il decreto luogotenenziale non poteva in alcun modo essere annullato».
Pirina non aveva paura di mettere in discussione anche gli atti di clemenza del 1952 e del 1953. «In questo caso – commenta lo storico pordenonese – i partigiani amnistiati dichiararono a propria discolpa di aver agito contro fascisti e tedeschi in azioni di carattere bellico. Vale a dire che ammisero di aver agito da partigiani, ovvero da cobelligeranti del Regio Esercito, quindi colpevoli di crimini di guerra né più né meno di qualsiasi altra figura militare».
Più volte minacciato da chi ancora oggi non vuole ammettere che gli strascichi della guerra durarono fino al 1947, ma mai domo.
(courtesy MLH)