La Croazia che ambisce (o ambiva?) ad entrare nell’Unione Europea ma la cui opinione pubblica – stando ai recentissimi sondaggi – manifesta una crescente indifferenza se non avversione, sostenuta in questa direzione da larga parte delle gerarchie religiose e del clero locali, esprime periodicamente e nelle più varie sedi la sua reale maturità politica e culturale. L’ultima nuova viene da una rivista letteraria, “Književna Rijeka”, che nel numero 2-3 del 2011 appena edito ospita un intervento di tale Igor Žic sul volume di Giovanni Stelli (docente e dirigente della Società di Studi Fiumani) La memoria che vive, che Žic assume a pretesto per costruire una teoria, tanto risibile per la sua insensatezza quanto significativa dell’arretratezza delle opinioni che vuole affermare.
Il quotidiano italiano di Fiume “La Voce del Popolo” ne ha confutato i contenuti in un lungo articolo pubblicato l’8 giugno a firma di Iva Defranceschi-Zuccon dal titolo A Fiume non ci sono italiani perché questo è l’assunto della nota apparsa sulla “Književna Rijeka”. E a leggere quanto la giornalista riferisce, c’è per un verso di che ridere (sia pure amaramente) quanto da chiedersi come sia possibile ai nostri giorni, in un contesto europeo, che si nutrano e si propagandino simili falsificazioni, autentiche patacche pseudo-storiche che alimentano l’ignoranza e la protervia del peggior nazionalismo etnocentrico cui molti settori della società croata sono saldamente aggrappati e fedeli nei secoli dei secoli.
Come sempre, anche nel caso in questione la tesi del Žic è di natura squisitamente etno-razziale, il che non è male nel XXI secolo: detto brevemente, secondo il redattore della rivista croata gli esponenti storici della cultura e della società fiumane sarebbero tutti, in realtà, dei croati “italianizzati”, essenzialmente dei croati rinnegati, peggio che mai: il che, in ogni caso, starebbe a dimostrare che di italianità a Fiume non si può proprio parlare, sottacendo – come l’articolista della “Voce del Popolo” rileva – che nella città quarnerina le remote origini dei suoi abitanti potevano essere molteplici, e di ogni parte dell’impero austro-ungarico così come della Penisola.
Per il tal Žic, dunque, ennesimo epigono dell’etnocentrismo balcanico, il sangue (vero o presunto, ma come risalire negli alberi geneaologici?) determina una volta per sempre l’identità delle persone e la loro eterna affiliazione alla presunta tribù di origine. Ma il meglio viene di seguito, quando si lancia in una volata che bisogna leggere più d’una volta per tentare di capire ma del quale si coglie comunque tra le righe un’inquietante sentore persecutorio d’altri tempi. A suo modo di vedere i fiumani, che sarebbero etnicamente (un tormento!) croati, scegliendo quella che egli definisce la «duplice non appartenenza» (tradotto: non croati in quanto reprobi ma neppure italiani perché «etnicamente croati»), con l’esodo si sarebbero auto-confinati, auto-esiliati. Chiaro, no? Chissà se questo arcano concetto è palese allo stesso Žic. Comunque, a suo avviso i fiumani avrebbero scelto l’Italia perché sedotti dalla sua cultura e appunto perciò sarebbero «cattivi figli della Croazia». Per estensione, supponiamo che a Fiume, secondo la rivista “Književna Rijeka”, non siano mai esistite altre comunità, né ungheresi, né austro-tedesche, figuriamoci ebraiche… Siamo a questo punto.
Un’ossessione, questa, della purezza dell’etnia e del sangue di cui abbiamo visto ampiamente gli esiti più recenti nelle guerre degli anni Novanta nell’ex Jugoslavia, e rinfocolate in questi giorni dalle piazze di Zagabria e di Belgrado inferocite dalla condanna all’Aja dell’ex generale croato Gotovina e dall’arresto dell’ex generale serbo Mladic. All’offuscato orizzonte dei redattori della rivista non è ancora apparsa l’idea di evoluzione della specie. Qualche millennio fa.
Patrizia C. Hansen
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