Durante l’11° Raduno della Mailing List Histria si è svolto nel pomeriggio di domenica 12 giugno presso la Comunità degli Italiani di Buie uno stimolante e partecipato dibattito su “Come valorizzare le risorse e le specificità istriane, fiumane e dalmate”.
Rosanna Turcinovich Giuricin, responsabile stampa del CDM di Trieste, giornalista de “La Voce del Popolo” e membro dell’Associazione Giuliani nel Mondo, ha giudicato fondamentale la promozione dei prodotti tipici istriani quali fattori di identità non solo per esuli e rimasti, ma anche per i nuovi venuti, che nel giro di due generazioni li fanno propri. La terra istriana infatti, con le sue condizioni geofisiche, ha la forza d’imporsi sulle vicende storiche. Occorre però dotarsi di strumenti adatti affinché la tradizione agroalimentare rimanga sul territorio e si qualifichi meglio. In Istria e a Fiume esistono luoghi d’eccellenza non solo nel campo della ristorazione, bensì anche in quello culturale, come il prestigioso Centro di Ricerche Storiche di Rovigno. Ma ognuno va per conto suo, coltivando il proprio orticello. Bisognerebbe invece metterli in rete e rafforzarli, affinché facciano tutti un salto di qualità raggiungendo un livello superiore.
Paolo Radivo, redattore de “L’Arena di Pola” e consigliere del Libero Comune di Pola in Esilio, ha parlato del turismo italiano nell’Adriatico orientale come di una risorsa cospicua che però andrebbe organizzata e indirizzata se si vuole che diventi veicolo di italianità e non venga più sprecata a beneficio altrui. Bisognerebbe dunque far incontrare domanda e offerta affinché i turisti italiani possano alloggiare presso dei connazionali, interloquire nella propria lingua e alimentarsi all’italiana. A tal fine si potrebbe costituire un consorzio di ristoratori, affittacamere, albergatori, campeggiatori, artigiani e produttori agricoli istro-italiani che fornirebbero ai turisti provenienti dalla madrepatria un prodotto-vacanza competitivo e allettante all’insegna della tipicità. In connessione con tale consorzio potrebbe operare un’agenzia turistica tutta italiana, capace anche di offrire guide turistiche connazionali che facciano conoscere agli ospiti il patrimonio storico, culturale, paesaggistico ed enogastronomico locale, ma anche gli italiani che ancora vivono in queste terre. Negozi di prodotti tipici potrebbero sorgere sia in Istria sia a Trieste, dove da alcuni mesi ha aperto i battenti un negozi di alimentari del Carso sloveno ma dove è tuttora impossibile comprare vino, olio o formaggio istriano.
Un’altra cruciale e appetita risorsa istriano-quarnerino-dalmata – ha aggiunto Radivo – è quella immobiliare. Da quando il mercato sloveno e croato è stato liberalizzato, numerosi appartamenti ville e case sono stati venduti a stranieri; tra questi però solo una minoranza sono italiani. L’acquisto di immobili nuovi da parte di cittadini italiani è un’imprescindibile mezzo per difendere l’italianità residua, oltre che una forma di ritorno nella terra d’origine per gli esuli o i loro discendenti, sia pure a loro spese. Un’agenzia immobiliare con sede sia in Istria che in Italia e formata da giovani sia rimasti che discendenti di esuli potrebbe servire egregiamente allo scopo. Più in generale è indispensabile per la sopravvivenza dell’italianità nell’Adriatico orientale creare un’economia italofona autosufficiente che dia lavoro da una parte a connazionali e dall’altra a discendenti di esuli, che valorizzi le tipicità e che si rivolga al territorio, al mondo della diaspora e all’Italia. Tutto ciò per mettere in pratica il motto «Istriani di tutto il mondo unitevi!», ossia per ricomporre all’insegna della solidarietà un popolo lacerato e sparpagliato dall’esodo.
Gianclaudio de Angelini, presidente della commissione di valutazione del IX concorso letterario “Mailing List Histria 2011” e dirigente della Società di Studi Fiumani di Roma, si è dichiarato d’accordo detto con quanto affermato dai due precedenti oratori. Anche a suo giudizio è fondamentale che i turisti italiani apprendano la storia e la cultura dell’Istria, in modo da contribuire a difenderla. Per questo è necessario valorizzare turisticamente tutto ciò che è stato e creare un logo comune per tutti i prodotti istriani. Ottima anche l’idea di realizzare (magari con un contributo INTERREG) una vetrina dei prodotti istriani a Trieste, città dove la comunità greco-ortodossa ha un suo ristorante, un suo albergo e una sua chiesa, tutte cose che invece gli esuli istriano-fiumano-dalmati non hanno. Una delle tipicità istriane che si stanno perdendo è invece la pasticceria, che andrebbe recuperata anche in chiave turistica. In conclusione, occorre far sì che la cultura istriana non finisca con la scomparsa degli anziani esuli e rimasti.
Ondina Lusa, segretaria del Centro di Studi Storici e Geografici di Pirano e dirigente della Comunità degli Italiani di Pirano, ha reso noto che a Pirano si sta lavorando per aprire il ristorante «La bottega dei sapori», con un cuoco e con pietanze locali. Ha riferito poi sulle numerose attività dei due sodalizi cui appartiene.
Amina Dudine, presidente della Comunità degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola, ha fatto presente che, con la morte degli anziani rimasti, vengono meno gli ultimi guardiani e custodi di quel poco di italianità che è ancora possibile tenere in queste terre. Purtroppo di giovani consapevoli e capaci di raccogliere il testimone ce ne sono pochi: forse una quindicina in tutta l’area di insediamento storico della nostra comunità nazionale. Gli altri spesso si vergognano della loro nazionalità. Un grosso problema è che nelle scuole italiane del Capodistriano non solo gli studenti ma ormai pure molti insegnanti colloquiano fra loro in sloveno. Per giunta, nelle famiglie frutto di matrimoni misti si tende a parlare la lingua della maggioranza. Occorre pertanto unire le forze, riavvicinare esuli e rimasti (discendenti compresi) e lavorare assieme. I rapporti della Dudine con gli isolani residenti in Canada, Australia e anche in Italia sono ottimi e frequenti, più difficili invece con quelli che si sono fermati a Trieste. Occorre inoltre non abbandonare le specificità di ogni paese, a partire da quelle dialettali.
Axel Famiglini, coordinatore della Mailing List Histria, ha concordato sul fatto che una comunità per esistere ha bisogno di alcune condizioni minime, mentre oggi, specie in Slovenia, è circondata da un ambiente ostile. Occorre una solidarietà internazionale istriana per investire creando posti di lavoro in italiano. Sì dunque al marchio di qualità, al consorzio di produttori italiani e alle agenzie turistiche. Anche lo Stato italiano però dovrebbe intervenire affinché si crei qui un’economia italiana capace di autosostenersi.
Franco Biloslavo, segretario della Comunità di Piemonte d’Istria e membro del direttivo dell’Associazione delle Comunità Istriane, si è chiesto se quanto fatto finora dalle associazioni degli esuli e dei rimasti è stato adeguato o comunque sufficiente, visti i risultati. Gli esuli sono ancorati al passato, non hanno trasmesso ai loro figli il senso dell’identità e lasceranno loro un monte di documentazione che non sarà letta. Abbiamo perso il filo e i giovani non ci sono. Occorre pertanto costruire una casa nuova in coabitazione con i rimasti. Altrimenti la casa degli esuli si sbriciolerà e in cantina rimarranno memorie di cui nessuno farà tesoro. Non è nemmeno giusto però cercare di convertire i ragazzini al passato, a quell’istrianità di una volta che non c’è più. Non dobbiamo essere puristi o integralisti, perché anche i giovani istriani hanno bisogno di essere contemporanei, così come i giovani siciliani. Non dobbiamo nemmeno esasperare le categorie di “italiani”, “croati” e “sloveni” ed essere sacerdoti maniacali di qualcosa che il tempo cancella. Dobbiamo prendere atto che esiste un nuovo linguaggio e portare un segnale di italianità migliore, farci accettare da croati e sloveni proponendo anche ai loro giovani le bellezze dell’Istria. Un problema grosso è la mancanza per il Governo italiano di un interlocutore unico: siamo divisi in mille rivoli, mentre dovremmo riunire questo popolo. È bene continuare a ritrovarsi per discutere assieme di quali specificità valorizzare, di quali obiettivi perseguire.
Carmen Palazzolo Debianchi, del direttivo dell’Associazione delle Comunità Istriane, ha esortato a pensare al domani affinché tutto non muoia con gli ultimi esuli. La disunione ci nuoce sia tra esuli sia tra esuli e rimasti. Dobbiamo riallacciare i rapporti con la terra natia e con gli italiani del posto per riunire le due facce dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia che l’esodo ha diviso. Ma le forze degli esuli e dei rimasti non saranno sufficienti senza l’impegno del Governo italiano. In campo scolastico siamo ancora in alto mare: i libri di testo di storia in Italia continuano a essere reticenti sulle nostre vicende, mentre non si sa ancora su cosa verterà il seminario nazionale previsto per il febbraio 2012 a Trieste.
Maria Luisa Botteri, della Società Dalmata di Storia Patria e del Libero Comune di Zara in Esilio, ha citato fra le varie possibili forme di cooperazione di qua e di là dal confine quella degli apicoltori: ad esempio gli agricoltori romani sono ben disposti a portare nuove api in Istria. Dunque: «chiedete e vi sarà dato, perché siete voi rimasti a sapere cosa vi manca». Al momento invece risultano poche domande e poca ambizione di fronte all’arroganza di altri, come se non si dovesse rompere le scatole: invece bisogna romperle! Contatti già ce ne sono: ad esempio vengono portati libri italiani a Zara e Spalato. E si è notato un miglioramento nelle competenze linguistiche dei giovani “rimasti” anche in Dalmazia. Bisognerebbe però fare un sito internet specifico sulle nostre vicende, perché studenti e professori si perdono nelle tante voci sparse su internet, mentre hanno bisogno di trovare facilmente le informazioni.
Eufemia Giuliana Budicin, addetta stampa della Mailing List Histria e consigliere nazionale dell’ANVGD, ha raccontato l’esito di alcuni suoi interventi contro le gravi inesattezze dell’Enciclopedia Istriana, contro l’appropriazione indebita dei santi compiuta dalla Chiesa e dai nazionalisti croati, nonché per la messa in italiano a Rovigno: ciò dimostra che “rompere” serve.
Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria, ha sostenuto che occorre far conoscere l’Istria in Italia (comprese Trieste e le associazioni dei profughi) e l’Italia in Istria. Oggi esistono tre narrazioni storiche diverse in Italia, Slovenia e Croazia. Perciò dobbiamo riscrivere noi la nostra storia, affinché non sia più uno strumento di divisione. Il Circolo Istria ha cominciato a farlo, così come da tempo opera per la difesa delle risorse genetiche autoctone e per la conoscenza dell’enogastronomia, affinché si producano alimenti di altissima qualità e salubrità. Imprenditori italiani, sloveni e croati dovrebbero lavorare assieme valorizzando le risorse tecniche e scientifiche esistenti affinché la Madre Terra istriana accolga tutti gli istriani, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Sergio Uljanic, presidente dell’Associazione Culturale Istriani, Fiumani e Dalmati del Piemonte e consigliere del Libero Comune di Pola in Esilio, ha lamentato come una grande pecca della prima generazione di esuli sia stata quella di non aver trasmesso ai propri figli le loro problematiche. Il risultato è che ormai gli esuli si ritrovano quasi solo per le festività patronali e stanno perdendo il senso dell’identità. Però dagli anni ’90 ci si è cominciati a muovere per il riavvicinamento tra esuli e rimasti e un interscambio c’è. Ma occorre portare i turisti italiani nelle CI: altrimenti si spreca un’occasione preziosa.
Konrad Eisenbichler, docente universitario e direttore de “El boletin” dei giuliano-dalmati di Toronto, ha osservato che dappertutto i figli degli esuli si sposano con persone del luogo e assorbono quella cultura. Non si riesce dunque a trasmettere l’identità nemmeno dalla prima alla seconda generazione. Questo però è naturale e non vi si può porre rimedio: il popolo dell’esodo sparirà. Del resto in Istria e nel Quarnero è sempre esistita una tendenza all’exogamia, cioè a sposarsi con appartenenti ad altra etnia. Ma è possibile fare qualcosa per aiutare i rimasti a mantenere i contatti con gli esuli. In tal senso è condivisibile l’idea di utilizzare i nostri soldi per orientare l’offerta turistica. A Lussinpiccolo, per esempio, esiste un ristorante gestito da albanesi che però offre pietanze italiane ed è frequentato da una clientela italiana. Ciò significa che anche i nuovi venuti possono assorbire, apprezzare e perpetuare le nostre antiche tradizioni.
Paolo Radivo