Sondaggio nella ex Jugoslavia 20 anni dopo la dissoluzione. Sloveni, croati e serbi pronti a una nuova “collaborazione”
di Azra Nuhefendic
TRIESTE «Si stava meglio quando si stava peggio» sembra dire il sondaggio condotto negli Stati della ex Jugoslavia. L’analisi “L’opinione pubblica – 20 anni dopo” mostra che, a causa della rottura violenta della ex Federativa, la maggioranza dei cittadini in Serbia e Croazia non sembra essere soddisfatta di quanto accaduto negli ultimi quattro lustri. La maggioranza degli intervistati giustifica i motivi che hanno portato allo smembramento della Jugoslavia, ma sulle cause della dissoluzione le opinioni variano da un Paese all’altro. In Bosnia-Erzegovina, ad esempio, i cittadini incolpano il sistema multi-partitico, mentre gli sloveni vedono la causa principale della rottura nel diverso sviluppo economico delle ex repubbliche.
Tuttavia, a prescindere dalle diverse interpretazioni del passato, la maggior parte dei cittadini intervistati dichiara di vivere peggio rispetto a venti anni fa. I cittadini intervistati di Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Serbia oggi sono pronti ad una nuova cooperazione politica, economica e anche militare nell’ambito ex jugoslavo. Tutti gli intervistati hanno in comune il fatto di dare i peggiori voti ai loro attuali governi, parlamenti e partiti politici. Solo in Serbia, l’ex presidente Slobodan Milosevic non riceve una valutazione negativa per il suo ruolo nella crisi Jugoslava; l’ex presidente croato, Franjo Tudjman, all’opposto, viene considerato negativamente dai suoi connazionali. L’indagine mostra anche che il successo degli atleti della ex Jugoslavia negli sport rallegra gli sloveni, i serbi e i bosniaci, ma non i croati. Anzi, due terzi dei croati intervistati si sentono “molto infelici” per i successi degli atleti serbi. «C’è anche uno strano fenomeno, ovvero le persone che hanno partecipato alla guerra hanno un atteggiamento più indulgente verso le altre nazioni rispetto a quelli che sono fuggiti dal conflitto» nota lo storico serbo Cedomir Antic. «Non si vive di nazionalismo.
Il nazionalismo è qualcosa che cattura il cuore, a volte siamo disposti a sacrificare anche la vita per gli ideali nazionali. Ma per sfamare i bambini il nazionalismo non serve. Esso può avvelenare l’anima. Ad ogni modo, le persone possono paragonare la vita di oggi e quella di venti anni fa, e i risultati mostrano chiaramente che gli abitanti della regione, fatta eccezione per la Slovenia, due decenni fa avevano una vita migliore» afferma il sociologo Jovo Bakic. La cultura resta il settore dove ancora oggi, dopo venti anni, c’è più apertura e disponibilità a collaborare.
(courtesy MLH)