«Una giornata memorabile che ha visto protagonisti la Comunità italiana e l’Unione italiana», così il presidente della Giunta esecutiva dell’Ui, Maurizio Tremul definisce l’incontro di Pola tra il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano e il suo omologo croato Ivo Josipovic. Tremul che però concorda con il presidente dell’ Ui Furio Radin sul fatto che la Croazia, ma nemmeno la Slovenia, hanno riconosciuto ufficialmente il dramma delle foibe.
Quello tra Napolitano e Josipovic a Pola è stato un incontro importantissimo. È stato chiuso il capitolo della storia del dopoguerra?
Si è iniziato a chiudere una parte di questo capitolo ma si è iniziato soprattutto ad aprire una strada comune per il futuro. Alcuni aspetti vanno ancora definiti da parte della Croazia ma anche della Slovenia, che incontra le medesime difficoltà nel riconoscere, anche se nel testo della commissione mista italo-slovena di storici qualche accenno c’è alle foibe e all’esodo seppur molto blando, quelli che sono stati le ingiustizie e gli orrori del comunismo, delle autorità jugoslave ma anche croate e slovene dopo la Seconda Guerra mondiale.
Una dichiarazione poco chiara quindi quella letta dai due capi di Stato?
Una dichiarazione molto bella che condivido pienamente, ma mentre c’è da parte dell’Italia un riconoscimento molto chiaro dei crimini del fascismo, senza eufemismi o giri di parole, c’è una condanna anche dei crimini del dopoguerra che però vengono ricordati senza dire le cose come stanno e cioè che il comunismo jugoslavo postbellico ha creato a quel tipo di orrore quale ritorsione e non solo contro gli italiani.
Manca ancora, dunque, un percorso di riconoscimento?
Questo percorso di riconoscimento dei propri errori deve essere ancora compiuto anche se io credo che non si possa sottovalutare, per quanto riguarda l’avvenimento di Pola, il grande passo avanti che è stato fatto dalla Croazia in questo senso.
E la Slovenia?
Per quanto riguarda la Slovenia questo passo in avanti non è stato mai fatto. Quindi c’è in questo contesto una maggiore capacità di autocritica e di accettazione della propria storia da parte della Croazia che non da parte della Slovenia.
Forse perché la Croazia sta per entrare nell’Unione europea?
Non lo so se l’abbia fatto perché deve entrare nell’Ue, la sostanza è che lo ha fatto. Anche la Slovenia doveva entrare nell’ Ue e non l’ha fatto ed è entrata comunque, quindi evidentemente non è l’entrata in Europa la discriminante per portare un Paese, la sua classe politica e dirigente, i suoi storici, a riconoscere determinati errori del passato. Evidentemente c’è anche qualcos’altro che sta al fondo di questo ragionamento e che è più forte della necessità di fare alcune cose in funzione dell’entrata nell’Unione europea.
I nazionalismi sono ancora un pericolo?
Io vedo un rischio di recrudescenza dei nazionalismi che un po’ pervade tutta l’Europa. E vi sono alcuni fatti, alcuni eccidi che avvengono in Europa che devono far preoccupare tutti quanti.
I nazionalismi dunque sono un problema.
Lo sono di più nelle realtà in cui la democrazia è alle prime prove d’orchestra. Vent’anni di indipendenza e quasi 20 anni di democrazia perché in Croazia c’è stato il periodo di Tudjman quando, come scrive Matvejevic imperava la “democratura”, sono pochi dopo 60 anni di regime dittatoriale comunista che una parte della classe politica riconosce e denuncia e un’altra parte no. E poi non è che ci si sveglia democratici dall’oggi al domani.
Quindi nei Paesi ex jugoslavi il problema è più accentuato?
Nei Paesi dell’ex blocco sovietico e dell’ex Jugoslavia c’è maggior rischio che il nazionalismo si ripresenti nelle sue forme più virulente soprattutto in un momento di grossa crisi economica, politica, sociale ma anche di grossa crisi di ideali e di valori.
Dunque un percorso difficile in Slovenia e Croazia?
In Croazia e in Slovenia direi di sì perché era impossibile farlo, non abbiamo ancora raggiunto un percorso democratico compiuto, In meno di 20 anni abbiamo imparato tutte le storture come il turbo-capitalismo, la privatizzazione selvaggia, il furto di Stato, la corruzione diventata sistema e la mafia al potere. Di cose positive ne abbiamo imparate poche e, ripeto, è normale che sia così. Perché in 20 anni bisogna fare anche un percorso di educazione civica delle persone e di ricambio generazionale perché chi è stato dirigente organico al vecchio regime può anche improvvisarsi democratico però qualche tara mentale e culturale gli rimane comunque.
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 8 settembre 2011