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Vent’anni fa l’edizione Istria e Quarnero su ”Il Piccolo” (Il Piccolo 16 gen)

Andreotti c’era, e c’è ancora. Fu lui, infatti, come presidente del Consiglio a firmare sulla prima edizione “istriana” del Piccolo. Anzi, per essere precisi l’edizione dell’Istria, Litorale e Quarnero. Costava 1.200 lire, 40 dinari croati o 35 talleri. Sembra il medioevo eppure è solo vent’anni fa. Quando in Slovenia c’era il tallero e non l’euro e la Croazia aveva il suo dinaro e non la kuna. Alle loro spalle i fantasmi della ex Jugoslavia. Davanti le sirene dell’Unione europea. Sirene che adesso sono diventate realtà e non più miraggio.

Sia per Lubiana che per Zagabria. «La presenza in Istria del Piccolo – scriveva Andreotti – non mancherà, infatti, di fornire un prezioso contributo al mantenimento dell’unità culturale della nostra minoranza». Con una punta di autoincensamento potremmo dire: «Missione compiuta», ma non certo conclusa. Il Piccolo ha seguito per vent’anni e continua a farlo, prima con una redazione a Capodistria, ora dalla redazione centrale ma con una valente rete di esperti collaboratori, sia quelli che si possono definire i microtemi (non è una discriminazione d’importanza o di valore) ossia i problemi delle comunità locali, le proprie evoluzioni socio-politiche, sia i macroargomenti relativi all’intera area regionale e, per molti aspetti, ancora transnazionale. Dai tempi bui di Tudjman, quando i giornalisti che scrivevano sul Piccolo facevano parte di una lista di “nemici”, ai giorni nostri dove l’ideale europeo ha trionfato sui bui presagi della “democratura” (per usare il termine coniato da Predrag Matvejevic).

Un’opera certosina e quotidiana che vuole rappresentare una voce importante per i nostri connazionali d’oltreconfine, ma anche per l’intera società istriana, fiumana e dalmata così amata a Trieste e per sempre allocata nei cuori dei suoi esuli. La pagina dell’Istria, dunque, come una voce indipendente nel coro della stampa slovena e croata. Un punto di vista che può essere anche scomodo, ma se lo diventa allora vuol dire che il lavoro è stato svolto con onestà e in piena libertà.

(fonte “Il Piccolo” 15 gennaio 2012)

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