Pieno sostegno per l’ingresso della Serbia nell’Unione europea, un rafforzamento del ruolo di Bruxelles nella crescita istituzionale della Bosnia-Erzegovina, ripresa del dialogo con Slovenia e Croazia sui beni abbandonati dagli esuli e nessuna chiusura dei consolati italiani a Capodistria e Spalato. È un’agenda ricchissima quella che il ministro degli Esteri Giulio Maria Terzi di Sant’Agata illustra ribadendo la grande importanza geopolitica ed economica dei Balcani per il nostro Paese.
L’ingresso della Serbia nell’Ue si è alquanto complicato, qual è la posizione italiana?
Sono fiducioso che la questione si possa risolvere nel Consiglio europeo dell’1 e 2 marzo riconoscendo alla Serbia lo status di Paese candidato. Sono stato molto attivo su questo tema fin dallo scorso novembre quando si è delineata questa difficioltà da parte di due o tre Paesi partners di poter sbloccare prima della fine del 2011 questa questione, perchè la valutazione che l’Italia dà a questo avvicinamento della Serbia è incondizionatamente positiva.
Quali i motivi?
Perchè si tratta di un Paese che rappresenta un esempio di rispetto di quelle che sono state le condizioni europee, è stato da ultimo rispettoso degli impegni che aveva assunto nella consegna dei criminali serbi ricercati, si è dimostrato attivo, soprattutto verso la fine dell’anno, nel dialogo con il Kosovo con il raggiungimento di intese precise su materie che erano finalizzate alle condizioni di vita della popolazione kosovara. Ci sono stati però gli scontri nel Nord del Kosovo… Incidenti malaugurati e deprecabili che sono costati anche numerosi feriti alle forze della Kfor che erano intervenute per tutelare l’ordine pubblico e questo ha purtroppo fatto precipitare un po’ il clima del negoziato a Bruxelles al momento dell’ultimo Consiglio affari esteri ed europeo.
Come sbloccare l’empasse?
Quella vicenda va contestualizzata e adesso si devono vedere i meriti e i vantaggi politici per tutti di un rapido avvicinamento della Serbia all’Europa. Pochi giorni fa però il presidente serbo Boris Tadic alla domanda se la Serbia riconoscerà il Kosovo ha risposto: «Mai». Questo non aiuta. Non aiuta, ma non possiamo porre delle condizioni ulteriori alla concessione dello status di Paese candidato. Noi siamo stati tra i primissimi Paesi a riconoscere l’indipendenza del Kosovo e intendiamo anche promuovere un avvicinamento rapido di Pristina alle istituzioni comunitarie e all’Ue, ma in questi termini vedere nella posizione serba verso il Kosovo un’ulteriore condizione per l’ingresso nell’Ue non sarebbe corretto, tanto più che ci sono diversi Paesi europei che non riconoscono ancora il Kosovo. E poi è interesse dell’Europa avere un’opinione pubblica serba positiva nei nostri confronti e porre ulteriori ostacoli significa invece dare spazio a quelle forze che non sono certo un elemento di stabilità, né per la Serbia, né tantomeno per il Kosovo.
Il ventre molle dei Balcani è costituito dalla Bosnia. Bisognerebbe riscrivere Dayton?
Dayton ha svolto un ruolo fondamentale per la stabilizzazione della Bosnia e fotografa una situazione di multietnicità del Paese con degli equilibri di governo che sono difficili da sostenere ed è per questo che noi abbiamo partecipato agli sforzi per rafforzare l’impianto costituzionale del Paese per renderlo più governabile. E in questa direzione la carta di avvicinamento all’Europa è importante per cui abbiamo sostenuto un rinnovato ruolo di Bruxelles con il rappresentante speciale per l’Ue Sorensenn. Questa è la strada su cui proseguire.
Un messaggio alla Croazia che entra nell’Ue.
Un messaggio di grande amicizia. Dal 1 luglio 2013 lavoreremo assieme a pieno titolo in tutte le istituzioni comunitarie, ma fin da ora è un Paese che è un partner di fondamentale importanza per noi per le questioni sia balcaniche e adriatiche, sia per proseguire la politica di rafforzamento delle istituzioni europee e di allargamento. La Croazia è un Paese di importanza strategica per i Balcani e quindi anche per la politica estera italiana.
Beni abbandonati degli esuli: c’è il conto fiduciario aperto da Slovenia e Croazia alla Dresdner Bank di Lussemburgo dove versare l’indennizzo di 110 milioni di dollari stabilito negli Accordi di Roma del 1983. Lubiana ha già versato la sua quota, Zagabria no. Che cosa farà l’Italia di quei soldi?
Riprenderemo i contatti diplomatici con Slovenia e Croazia per trovare rapidamente una soluzione accettabile per tutte le parti con in prima fila le associazioni degli esuli che sono a noi carissimi per quello che rappresentano per la nostra cultura e per i sacrifici che hanno sopportato in tutti questi anni. Nel 1983 nascevano dei crediti nei confronti di questi esuli e siamo intenzionati a portare avanti il negoziato sulle quote residue che sono a carico della Slovenia per 57,7 milioni e della Croazia di 35,3 milioni.
Nel 2007 l’allora ministro degli Esteri Massimo d’Alema a Lubiana disse che la cifra di 110 milioni di dollari pattuita con l’ex Jugoslavia andava rivalutata. Lei che ne pensa?
È una tesi che si può discutere. I valori stabiliti nel 1983 erano veramente i minimi accettabili da parte dell’Italia, quindi se c’è un qualsiasi margine interpretativo da parte nostra per aggiornare questi valori lo considereremo sicuramente con molta attenzione.
Tagli alla diplomazia: saranno chiusi i consolati italiani a Capodistria e Spalato?
Non ci sarà alcuna chiusura e nessun ridimensionamento, tantomeno a Capodistria e a Spalato se non dopo una riconsiderazione di tutta questa materia su una base della revisione in profondità della spesa dello Stato che il governo farà nei prossimi mesi. Nessuna decisione sarà presa con un colpo di penna o senza valutare a fondo le possibilità di compensare questi ridimensionamenti in modo che mantengano l’efficacia. Per il momento non accade nulla.
Elezioni Usa. Quanto peserà la crisi economica sulla scelta degli americani?
L’economia è una protagonista essenziale della campagna elettorale. Nella fase attuale vi è la sensazione che vi siano, seppure su dati limitati ma comunque significativi, dei miglioramenti, quindi delle chance un po’ più promettenti per l’amministrazione Obama perché la disoccupazione sta calando da sei mesi, qualche aspettativa nel mondo del business si sta rasserenando e si va verso la concessione di esenzioni fiscali alle classi lavoratrici e quindi anche i sondaggi danno Obama in vantaggio, ma la corsa resta apertissima.
di Mauro Manzin su Il Piccolo del 14 gennaio 2012