L’ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis, che resse la Farnesina negli anni cruciali del disfacimento dell’ex Jugoslavia, intervistato oggi dal quotidiano sloveno “Primorski Dnevnik”, ripercorre le vicende che negli anni Novanta condussero l’Italia al riconoscimento dell’indipendenza della Slovenia e si esprime positivamente sulle attuali garanzie concesse nel nostro Paese e nella vicina nazione alle rispettive minoranze. Unico neo di un quadro che egli ritiene complessivamente soddisfacente, la questione degli indennizzi agli Esuli giuliano-dalmati: un dovere non ancora assolto, che resta – a giudizio dell’esponente politico – il solo problema insoluto nelle relazioni bilaterali.
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervista.
Roma – In data odierna 20 anni fa l’Italia ha riconosciuto la Slovenia, come fatto pure dalla Comunità europea, precursore dell’odierna Unione Europea. Due giorni dopo a Lubiana, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, firmatario dell’intesa, ha consegnato personalmente alle autorità slovene l’Accordo per il riconoscimento, mentre il co-firmatario del decreto sul riconoscimento era il Ministro per gli affari esteri, Gianni De Michelis. Con quest’ultimo abbiamo parlato del significato del riconoscimento della Slovenia, della sua posizione in Europa e della situazione in cui versava la Iugoslavia prima della guerra.
Onorevole De Michelis, com’è quindi maturato il riconoscimento della Slovenia?
Il riconoscimento della Slovenia è una conseguenza dei grandi terremoti che hanno accompagnato il crollo del muro di Berlino e la scissione dell’Unione sovietica. In pochi anni è crollata la così denominata architettura europea della seconda guerra mondiale. Il tutto è successo molto velocemente. Il muro di Berlino è stato abbattuto nel novembre 1989, e a meno di un anno dopo questo avvenimento c’è stata l’unificazione della Germania. Tutto ciò ha influenzato gli eventi in Iugoslavia, della quale io avevo un’opinione diversa rispetto ai miei colleghi degli altri Paesi della Comunità europea.
E quale era il suo punto di vista?
Se qualcuno mi avesse chiesto quale stato ad est rispetto a noi dovrebbe essere più attivo nei processi integrativi europei, risponderei senza esitazioni la Iugoslavia. In alcune occasioni avevo perfino proposto l’inserimento della Iugoslavia nella Comunità europea, e non mi hanno dato retta.
Perché proprio la Iugoslavia?
Perché in Iugoslavia si era affermato un modello politico-sociale che più si dissociava dai modelli tradizionali di stato comunista e socialista. In Italia eravamo ben a conoscenza della situazione nel Paese vicino e per questo motivo abbiamo cercato di fare qualcosa di utile per prevenire il peggio.
Si sta riferendo a un’iniziativa concreta?
Nel settembre del 1989, in qualità di Ministro degli esteri, insieme all’allora Presidente del consiglio Giulio Andreotti, in una visita in Istria ho incontrato gli alti rappresentanti della RSFI. Abbiamo offerto loro assistenza per un passaggio pacifico all’ordinamento democratico, che avrebbe dovuto rispettare severamente l’Accordo di Helsinki. In modo particolare la parte che prevede che le modifiche dei confini interni statali non devono avvenire con delibere unilaterali, bensì con negoziati politici. L’esempio della Cecoslovacchia dimostra che due popoli possono separarsi e possono fondare in modo pacifico il proprio Stato.
Il caso della Iugoslavia è stato molto diverso dal caso della Cecoslovacchia…..
Questo è vero. All’epoca ero convinto che la separazione pacifica della Iugoslavia fosse ancora possibile. Era nostro dovere cercare di provare la strada consigliataci dall’allora Presidente della Bosnia ed Erzegovina, Alija Izetbegović, e dal Presidente della Macedonia, Kiro Gligorov, da poco deceduto.
E quale era questa strada?
Si impegnavano per cambiamenti radicali e per un’autonomia più ampia delle singole repubbliche, all’interno della Iugoslavia confederale. Izetbegović e Gligorov già allora avevano in mente l’integrazione europea della Iugoslavia Mi raccontarono che sarebbe stato insensato distruggere tutto per poi dover ricostruire tutto. Noi abbiamo perseverato finché abbiamo potuto sul fatto che bisognava negoziare, ma le cose purtroppo hanno preso una strada tragica.
E chi è responsabile per la guerra?
Il responsabile principale è la Serbia, a cominciare da Slobodan Milošević. Il fatto che le cose siano andate come sono andate, è dovuto anche ad alcune decisioni unilaterali della Croazia e della Slovenia.
Secondo Lei quindi la colpa per la guerra in Iugoslavia è da attribuire a questi due Stati?
No, non ho detto questo né lo penso. Mentre la Croazia del presidente Franjo Tuđman all’inizio aveva preso posizioni molto prudenti fino alla scissione della Iugoslavia, la Slovenia di Kučan ha optato per decisioni e decreti più risoluti. La Slovenia lo ha potuto fare perché sul suo territorio non aveva potenti minoranze etniche, mentre la Croazia era in un’altra posizione. Questo lo sapeva bene anche Milosević, che me lo ha detto in modo molto chiaro in un’occasione.
Cosa le ha detto Milosević?
Il primo luglio 1991 nell’ambito della cosiddetta triade europea sono andato a Belgrado. In un colloquio riservato, senza la presenza dell’interprete inglese, mi ha fatto capire che la Slovenia non gli interessa per niente e che per lui può lasciare lo stato federale anche subito, poiché sul suo territorio non ha un numero consistente di appartenenti alle minoranze etniche. Era evidente che si riferiva ai serbi. Per questo motivo la Serbia con tale distacco e quasi con indifferenza ha accolto la decisione unilaterale della Slovenia di staccarsi dalla Iugoslavia.
Comunque la guerra in Slovenia c’è stata….
Sì, c’è stata. Ma era molto breve e non era così sanguinosa come le guerre che subito dopo hanno sconvolto la Bosnia ed Erzegovina e la Croazia. In Slovenia principalmente sono caduti i membri dell’armata iugoslava.
Nonostante i suoi dubbi, l’Italia ha comunque riconosciuto la Slovenia….
Sì, è così, e la nostra decisione si è dimostrata giusta, benché sapevamo purtroppo che un tale rapporto della comunità internazionale fino alla scissione della Iugoslavia avrebbe aperto la strada alle guerre ed eccidi di massa. La Slovenia in tutto questo non centrava niente ed era una questione a sé. Principalmente perché, ripeto, il 98% dei cittadini residenti in Slovenia è di nazionalità slovena, e sul territorio sloveno non vi sono minoranze etniche numerose. Proprio allora la Comunità europea era innanzi ad un grande prova.
Quale?
La Slovenia e la Croazia hanno dichiarato unilateralmente l’indipendenza solo una settimana dopo che si sono concluse tutte le procedure per l’affermazione dell’Accordo di Maastricht, che era di significato essenziale per la Comunità europea.
E quale legame ha Maastricht con il riconoscimento della Slovenia?
Dopo che noi membri della Comunità europea abbiamo dedicato tanto tempo ed energie per stabilire l’integrazione europea e per la politica di difesa comune, la scissione della Iugoslavia sarebbe stata una vera catastrofe. Eravamo realmente costretti ad un compromesso, anche per quello che riguardava la Slovenia e la Croazia. Dietro mia proposta la Comunità europea ha di fatto riconosciuto la Slovenia e la Croazia il 15 dicembre 1991, con l’obbligo che il decreto sul riconoscimento entri in vigore un mese dopo, il ché è successo anche con il benestare della Germania.
Perché questo lasso temporale?
Nel Consiglio dei ministri della Comunità europea di allora, c’è stata una lunghissima discussione, con l’Italia da una parte e la Germania dall’altra, e i francesi in mezzo. Alla fine abbiamo raggiunto un compromesso, cioè che la Comunità europea avrebbe riconosciuto allo Stato l’indipendenza il 15 gennaio 1992. Quindi un mese dopo, come proponeva la Germania, per poter dare almeno la possibilità, prima del riconoscimento, di risolvere la crisi in Croazia poichè si è arrivati al conflitto. Le Nazioni Unite, con l’inviato per la Iugoslavia, Cyrus Vance, hanno preso in mano la situazione, e quest’ultimo ha stipulato l’accordo sulla Croazia.
Però non avete saputo o non avete potuto prevenire la guerra in Bosnia?
Purtroppo no. Gli avvenimenti non dipendevano più da noi e, se posso usare questo termine, sono scivolati di mano alla comunità internazionale.
Il presidente Cossiga il 17 gennaio 1992, quale primo capo di stato straniero, ha fatto visita alla Slovenia appena riconosciuta a livello internazionale. Perché era critico fino a quella visita?
Come ben sa, al defunto Cossiga piacevano molto gli “assoli”. Comunque con lui non c’erano grosse divergenze, sebbene il defunto presidente della Repubblica ha fatto molte cose di testa sua. Questa era una sua caratteristica.
Con la Slovenia appena riconosciuta ben presto sono sorte difficoltà legate alla minoranza italiana in Istria?
Con Lubiana la situazione si è ingarbugliata molto nell’accordo tripartitico (Italia – Slovenia – Croazia) sulla minoranza slovena. Mentre il parlamento croato ha accolto tale accordo, il mio amico Dimitrij Rupel mi aveva avvertito che il parlamento sloveno non lo avrebbe approvato, dicendo che non può acconsentire formalmente all’interezza territoriale degli italiani in due Paesi. Per questo motivo l’accordo tripartitico ha fatto un buco nell’acqua, ovvero è diventato un accordo bilaterale tra Roma e Zagabria. Peccato per l’occasione perduta, nella quale i più colpiti erano gli esuli istriani.
Perché proprio loro?
Perché ancora oggi aspettano l’adempimento di alcuni obblighi non tanto materiali quanto morali da parte della Croazia in particolare della Slovenia.
Come vede oggi la Slovenia, vent’anni dopo questi eventi fatidici?
Le circostanze nel nostro territorio sono cambiate radicalmente in meglio. La Slovenia ha registrato uno sviluppo sostanziale a livello economico e generale, e tra noi non ci sono più confini di stato. Mi consenta un’osservazione personale.
Prego!
Ritengo di aver avuto ragione quando avevo proposto l’entrata dell’allora Iugoslavia nella Comunità europea. Questo problema è al giorno d’oggi di nuovo di attualità, infatti tutti i Paesi dei Balcani occidentali aspirano ad entrare nell’Unione europea. La prima per ordine è la Croazia, poi spero che la seguano anche gli altri Paesi dell’ex Iugoslavia.
Come vede la posizione attuale della minoranza italiana e di quella slovena?
La minoranza slovena in Italia dal punto di vista legale ha ottenuto tutto quello che le spettava. Lo stesso vale per gli italiani in Slovenia e in Croazia. Entrambe le minoranze etniche, per quel che riguarda la legislazione e gli accordi internazionali, non hanno niente di cui lamentarsi. Questo è un bene per tutti. Il bastoncino più corto lo hanno preso gli esuli istriani, che non hanno ottenuto quello a cui avevano diritto. Gli esuli lentamente si stanno congedando, questa è proprio la legge della natura. Rimane l’amarezza per non avere risolto i loro problemi in tempo e io lo vivo come un neo in questa storia.
(g. c. “Primorski Dnevnik” / Sandor Tence / 27 gennaio 2012)