Lino Vivoda, consigliere onorario dell’Anvgd ed esule da Pola, ha inviato al Prefetto di Parma Luigi Viana la lettera che riproduciamo, con la quale stigmatizza le reazioni suscitate presso gli ambienti della sinistra radicale dalla proposta di intitolare un via alle vittime delle Foibe.
Signor Prefetto, Le scrivo per l’indignazione subita nel leggere la lettera a Lei indirizzata da certa gente che non vuole sia intitolata una via ai «cosiddetti Martiri delle Foibe» (sic). Sono un esule istriano partito da Pola con il quarto convoglio (viaggio) della nave “Toscana”, e facevo parte di quel famigerato «treno dei fascisti» diretto a La Spezia, a cui minacciando uno sciopero i ferrovieri comunisti di Bologna negarono il cibo della sussistenza militare, dopo che viaggiavamo da oltre quattordici ore chiusi in vagoni bestiame stesi sulla paglia in quel triste e nevoso, come oggi, inverno del 1947. Solamente alla sera, giunti a Parma, fummo rifocillati dai soldati e dalle crocerossine, per cui ho di Parma un grato ricordo, anche perché successivamente mia nonna e mia zia furono fermate a Parma con i viaggiatori del sesto convoglio diretto a La Spezia, dove non c’era più possibilità di accoglienza per i profughi. Erano in maggioranza operai come l’80% degli esuli da Pola, e molti ex partigiani italiani, tutti etichettati come fascisti perché fuggivano da un paradiso rosso.
Mi trovavo nel centro dell’Istria nel settembre 1943. Nel paese dove ero sfollato in due notti furono infoibate 44 persone portate di notte coi camion. Poi rastrellato dai tedeschi con tutti gli uomini del paese (trenta finirono a Dachau e tornarono solo in quattro!) mi salvai per la mia giovane età. Perché non vogliono definire Martiri gli infoibati? Nelle foibe i capi fascisti non finirono perché già in Italia: finirono povera gente solo perché italiani e parecchi soldati che fuggivano a piedi disarmati dalla Jugoslavia lasciati senza ordini, ed anche comunisti e partigiani italiani.
Come definire se non Martiri le tre sorelle di 16, 18 e 20 anni, brutalizzate prima di gettarle in foiba? o don Tarticchio, riesumato da una foiba evirato e coi genitali in bocca? Come disse Gilas: «fummo mandati in Istria da Tito, bisognava cacciare gli italiani con ogni mezzo» e così fu fatto! Anche con la strage di Vergarolla a Pola, dove in un attentato dell’Ozna di Tito morirono un centinaio di italiani, durante delle gare nautiche, compreso mio fratello di otto anni..
Signor Prefetto, mi scusi per il disturbo ma è ora di non tacere più con chi fa della politica una becera faziosità indegna di persona civile. Con l’occasione ringrazio le genti di Fidenza, Piacenza e Bettola che durante le mie conferenze sul Giorno del Ricordo – decretato con voto bipartisan dal Parlamento – mi hanno dimostrato l’autentica solidarietà e comprensione per un dramma che ha colpito innocenti, causa una sciagurata guerra da noi pagata per tutti.
Lino Vivoda, esule istriano