GLAUCO MAGGI da NEW YORK
I maitre dei ristoranti di Manhattan? Basta allungargli un biglietto da 50 dollari, e in certi locali anche da 20, e il posto salta fuori anche se c’è la fila fuori. «Prendono un salario, ma poi c’è pure il palmo della mano. Una banconota da 50 ti fa notare. Per un locale dell’Upper East Side o una affollata steakhouse ( specialità le bistecche) di Midtown, un centone può inserirti nel gioco… Ma non è tanto il cash. Piuttosto, è tutto legato all’implicito valore della tua relazione con il maitre… ci sono clienti che dopo gli mandano lettere di ringraziamento o anche cose di un qualche valore commerciale». Per Bill Clinton, ad esempio, «grande cliente» per definizione, il caposala del «Babbo», il più noto ristorante del Greenwich Village, ha sempre la prenotazione valida, in qualsiasi momento.
Il «dietro le quinte» dei ristoranti newyorkesi, un menu ricco di favoritismi, mazzette e segreti professionali svelati, è tutto in un libro, «Restaurant man», «Uomo da ristorante», da ieri nelle librerie e anticipato dal New York Post. E’ un documento mezzo confessione e mezzo denuncia destinato a fare scandalo nel mondo della ristorazione di New York. Il nome dell’autore lo garantisce, perché sono pochissimi in città gli insider in grado di fare gossip (credibile) come Joe Bastianich. Figlio d’arte – mamma Lidia e papà Felice iniziarono nei Queens con Buonavia e Villa Seconda prima di aprire Felidia a Manhattan nel 1981 – , è anche intimo amico di Mario Batali, il celeberrimo cuoco di cui, con la madre Lidia, è partner in una catena di locali sulla cresta dell’onda (con il citato Babbo, ci sono Del Posto, Esca, Otto e Lupa). E anche in Eataly, il mall dell’eccellenza culinaria italiana aperto di recente con l’imprenditore torinese Oscar Farinetti e già diventato la terza «mecca» per i turisti dopo l’Empire State Building e il Metropolitan Museum.
Bastianich, insomma, sa di cosa scrive. «In ultima analisi, il lavoro dell’uomo da ristorante è di non farsi fregare impedendo alla gente che vuole fregarlo di riuscirci. E’ un business fatto di nickels (monetine da 5) e di dimes (10 centesimi), e tu fai i dollari accumulando nickels». L’immagine dell’industria dei locali che ne esce è quella di una giungla imprenditoriale. «Non ci sono master plans, piani prestabiliti. La sola regola è che tu ricompensi la gente che fa bene al ristorante. C’è un mucchio di persone che sono famose, che sono cool (gente di grido) ma che sono delle totali teste di cavolo e non sono concentrate sul ristorante… non capiscono nulla». Quelli del giro della moda, li cita Bastianich, «fanno schifo».
Clinton, invece, è ok e sempre allegro, racconta Joe. «Sembra che stia assiduamente controllando il suo peso, ma quando è il momento di ordinare impazzisce per il menu». Buoni clienti, anche, i personaggi in odore di mafia che vanno matti per Il Posto, sulla Nona Avenue. Molto interessati al cibo, bravi a farsi amici tutto lo staff. «C’è un gruppo che viene con un rotolo di centoni: 100 alla ragazza dei cappotti, 100 a ogni hostess, 100 per il maitre, 100 al barista, 100 al suo assistente, 100 al pianista… e improvvisamente il nostro Fat Tony Monte si mette a suonare la tarantella come se fosse al ricevimento di nozze di Don Corleone».