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Napolitano a Porzûs riconosce gli orrori dei partigiani di Tito

«La grande storia della Resistenza ha avuto anche ombre, macchie e la più grande è l’eccidio di Porzûs». Non ha peli sulla lingua Giorgio Napolitano e fin dalle prime ore della sua visita in Friuli-Venezia Giulia tira fuori dall’armadio uno degli scheletri più ingombranti del comunismo nostrano. Lo poteva fare solo lui che a lungo ha militato nel Pci.

 

Nel febbraio 1945 un manipolo di 19 fazzoletti verdi, i partigiani della brigata Osoppo, che sul confine orientale combattevano contro i nazifascisti e si opponevano all’espansionismo di Tito, furono trucidati. Non dalle SS, ma da un reparto di partigiani comunisti, agli ordini dei titini, comandati da Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca». Il primo a cadere è il comandante, Francesco De Gregori. Ieri, suo nipote, l’omonimo cantautore era a Faedis, il paese a valle di Porzûs, fra la folla che ha accolto il capo dello stato in un tripudio di bandierine tricolori.

Nel discorso in municipio Napolitano ribadisce che «la strage (di Porzûs) resta fra le più pesanti ombre che siano gravate sulla gloriosa epopea della resistenza». Sulle «radici dell’eccidio», il presidente ex comunista indica «le pretese e di dominio di una potenza straniera a danno dell’Italia in una zona martoriata come quella del confine orientale».

 

Il riferimento al disegno espansionistico del maresciallo Tito è chiaro. Napolitano non si tira indietro neppure sulle colpe taciute per oltre mezzo secolo dai suoi ex compagni: «Le ragioni, quelle palesi e quelle occulte, per le quali alcuni partigiani garibaldini, membri della formazione legata al partito comunista italiano, uccisero altri partigiani della formazione Osoppo ci appaiono oggi incomprensibili tanto sono lontane l’asprezza e la ferocia degli scontri di quegli anni e la durezza di visioni ideologiche totalitarie».

 

Nella piazza di fronte alla chiesa Napolitano scopre una targa che riconosce le vittime di Porzûs come caduti «per la libertà del Friuli e dell’Italia intera». Roberto Volpetti vicepresidente dell’Associazione dei partigiani Osoppo spiega che «il presidente viene sottoposto a mille pressioni ed un po’ ci dispiace che non sia salito alle malghe, ma lo ringraziamo profondamente. Con il riconoscimento della tragedia di Porzûs si chiude una ferita».

 

Per la prima volta, secondo gli osovani, a ricordare l’eccidio era presente una delegazione dell’Associazione nazionale partigiani. Fra loro anche un veterano con tanto di berretto e stella rossa. «“Giacca” era un matto con la pistola sempre in pugno. È stato un tragico errore, ma alla fine della guerra non era giusto gridarci garibaldini assassini, comunisti e titini», spiega Pio De Luca, partigiano di Faedis, classe 1926.

 

Severino Zucco, che nel 1945 aveva 8 anni ed un fratello nell’Osoppo ricorda come i partigiani rossi definirono subito la strage «come l’eliminazione di fascisti». Assieme a qualche decina di fazzoletti verdi sale in minibus verso le malghe, dopo la cerimonia con Napolitano. Fra loro ci sono pezzi di storia come Paola Del Din, medaglia d’oro al valor militare per essere stata paracadutata dietro le linee tedesche. Qualche fazzoletto verde sbotta: «Riconciliazione formalmente sì, ma nella sostanza non so. Quelli (i garibaldini, ndr) erano al servizio della Jugoslavia che voleva conquistarci e dell’Unione sovietica».

 

Fausto Biloslavo

“Il Giornale” 30 maggio 2012

 

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