Camminando, se socchiudi gli occhi, puoi perfino vederlo. Sbuffante, ansimante, lento, lentissimo. Ce l’hai lì, davanti, che esce dal tunnel e affronta il viadotto in leggera salita, il treno della Parenzana, quello che un secolo fa univa l’Istria a Trieste. Prima corsa il primo aprile 1902. Ultima corsa il 31 agosto 1935. Si faceva i 122 chilometri e 95 metri da Parenzo a Trieste in qualcosa come 6 ore e 54 minuti. Per dire: all’epoca il pullman ci metteva 3 ore. Ucciso dalla lentezza, ora quello stesso tracciato è rinato proprio grazie al gusto, al piacere della lentezza. Perché un altro mondo, dove riappropriarsi del tempo e dello spazio, è possibile. E allora, con i fondi europei, nell’Istria slovena e croata oggi il tracciato della Parenzana è diventato la “Strada della salute e dell’amicizia”, pista ciclopedonale ben segnalata (in Slovenia è il sentiero D8, in Croazia ci sono le tabelle gialle con il logo “Parenzana”) tutta da godere, magari prima che esploda l’estate visto che di ombra non ce n’è molta (anzi!) e di acqua ancora meno. Manca solo il segmento italiano, ma Muggia promette che sarà pronto in autunno.
Intanto, l’idea – a piedi come in bicicletta – è quella di partire da Trieste con il Delfino Verde, scendere a Muggia, caricarsi lo zaino in spalla – o iniziare a pigiare sui pedali – e via, verso Rabuiese e Albaro Vescovà fino a Decani, dove s’incontra ancora la vecchia stazioncina austroungarica: ne sono rimaste 12 sulle 35 dell’epoca (ma alcune erano semplici tettoie) e oggi sono case private o magazzini, quella di Capodistria ospita un fioraio e quella di Piemonte è un moncone mangiato dalla vegetazione. Dunque: Decani, Capodistria, il lungomare verso Isola, le ville di Portorose e le saline di Sicciole, il confine, Salvore, Buie lasciata a destra, la perla Grisignana che spunta dopo una galleria, un tuffo di venti chilometri tutto curve per scendere a Levade, Montona aggirata da sotto quasi per poterla meglio ammirare, Visinada e infine giù, un lungo rettifilo di altri 20 km tra viti e olivi fino a Parenzo con un’ansa appena a Visignano. No, la vecchia locomotrice serie U non spunterà dietro una curva. Né lo farà la serie P (creata apposta per questa linea a scartamento ridotto), eppure il loro mito rivive a ogni viadotto, a ogni cippo (con l’iscrizione TPC: Trieste Parenzo Canfanaro, perché quella era l’idea originaria, collegarla alla linea per Pola), a ogni stazioncina (tutte uguali, quelle rimaste, uguali a chissà quante altre ancor oggi esistenti nelle campagne e nelle valli delle regioni dell’impero). E rivive nei ricordi tramandati come leggende.
Andava così piano, la Parenzana, che in salita potevi scendere e raccogliere le ciliegie (e per farla soffrire ancor più a Montona i ragazzini spalmavano i binari di fichi, e lei, povera, scivolava…), a Levade il capostazione tra un treno e l’altro andava a tartufi mentre a Grisignana sotto la galleria di Calcini si coltivavano i funghi. Ma in ogni paese era sempre festa, quando passava la Parenzana. Portava le emozioni della vita della costa e della città. Oggi invece questo stesso tracciato porta cicloamatori (d’obbligo la mountain bike: in certi tratti – in Croazia: in Slovenia invece è tutto asfaltato, puoi correre con i roller – pare quasi che abbiano lasciato la massicciata originale…) e camminatori da mezza Europa. A scoprire l’Istria riappropriandosi del tempo e dello spazio.
Guido Barella
“Il Piccolo” 1° giugno 2012