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Puri Purini, l’istriano diplomatico si racconta (Il Piccolo 03 giu)

Quarant’anni di diplomazia. E di storia, d’Italia e d’Europa e del mondo. Quasi un’era, nella quale questo nostro vecchio mondo è cambiato. Lui a Washington, a Monaco di Baviera, a Tokyo, a Madrid, a Strasburgo, a Berlino… Nel ’99 la chiamata al Quirinale, consigliere giuridico del presidente Ciampi. Una carriera, quella di Antonio Puri Purini, che ora ritroviamo nel libro Dal colle più alto (il Saggiatore, pgg. 328, euro 17,50), con prefazione dello stesso Carlo Azeglio Ciampi.

 

Ambasciatore, cominciamo da Trieste.

 

«Sì, la famiglia di mio padre era triestina e istriana. Nato nel 1906, papà fu cittadino dell’impero austroungarico fino all’annessione di Trieste all’Italia nel 1918. Rimase sempre legatissimo alla città natale, anche nei molti anni trascorsi all’estero come diplomatico. Devo a lui se Trieste, dove non ho più legami familiari, rappresenta per me, ancor oggi, un luogo dello spirito, della nostalgia e della convivenza fra diverse culture: italiana, germanica, slava».

 

Vi torna spesso?

 

«Purtroppo solo raramente. Sin da ragazzino, quando prendevo parte alle dimostrazioni studentesche del 1953 per il ritorno della città all’Italia, l’ho sempre considerata un simbolo d’italianità, un importante riferimento culturale e uno snodo cruciale nella politica estera dell’Italia verso l’Europa centrale e i Balcani. Anche nell’impegno diplomatico ho sempre tenuto presenti i problemi e le esigenze di Trieste. Ad esempio, quando Ciampi si recò in visita ufficiale in Sud Africa organizzai la presenza di una delegazione del polo scientifico triestino».

 

Da lontano come ha visto la città?

 

«Penso che Trieste non ha sempre giocato bene le proprie carte. Avrebbe potuto diventare un irresistibile richiamo economico e culturale per l’intera Europa centrale. Alcuni come Riccardo Illy lo avevano capito bene, agendo di conseguenza, ma erano pochi».

 

L’esperienza con Ciampi?

 

«Mi ha innanzitutto dato fiducia, malgrado tante ombre, sul futuro dell’Italia e dell’Europa. Mi ha insegnato che donne e uomini di buona volontà possono incidere, attraverso il senso del dovere e l’esercizio della responsabilità, sul proprio destino. Mi ha dimostrato che – con idee chiare, posizioni meditate, convinzioni ferme – è possibile tutelare interessi generali e raggiungere risultati concreti. Mi ha stimolato all’impatto creativo della tenacia, della conoscenza, della cultura».

 

Momenti memorabili?

 

«Diversi. Lo sgomento di fronte all’attacco alle Torri gemelle nel settembre 2001; il conferimento del premio Carlo Magno al presidente Ciampi per i suoi meriti europei; l’emozionante giornata dedicata all’incontro con le minoranze italiane di Fiume, Rovigno, Pola nel 2000, insieme al presidente della Croazia Mesic; l’intervento di Ciampi al Parlamento sudafricano nel 2002; il dolore per la strage di Nassiryia».

 

Com’è cambiata la nostra politica estera?

 

«Dal dopoguerra, ha sempre perseguito l’obiettivo dell’inclusione nel gruppo di punta delle democrazie avanzate occidentali e dell’Unione europea. Ci siamo riusciti, pur essendo sempre il membro più debole, per instabilità politica e la gravità dei problemi interni».

 

Il compito del diplomatico?

 

«Colmare il divario fra il condizionamento rappresentato dai problemi interni e le nostre aspirazioni esterne, dimostrare l’affidabilità del Paese, tutelare gli interessi nazionali. Era quindi essenziale valorizzare il ruolo dell’Italia presso gli ambienti politici ed economici, il mondo accademico e culturale, la stampa, consolidare e conquistare simpatie facendo leva sul nostro patrimonio culturale e sull’intraprendenza di tanti bravi imprenditori. Non era sempre facile, ma sono felice di aver apportato un contribuito nel migliorare l’immagine del Paese».

 

Come ci vedono dall’estero?

 

«Il mondo sa che l’Italia è una nazione antica, un’economia dinamica, un pilastro della cultura occidentale. Pur con tutte le note debolezze, il nostro ruolo è conosciuto e apprezzato. Svolgiamo un ruolo di punta nelle missioni di mantenimento della pace (Balcani, Afghanistan). In tutti i Paesi dove ho prestato servizio, le dirigenze politiche, economiche e culturali frequentavano con piacere e interesse l’ambasciata d’Italia».

 

Gli anni di Berlusconi?

 

«Dal 2001 la contraddittorietà della politica estera del suo governo ha appannato l’immagine del Paese nella comunità internazionale. Ma si è trattato di una parentesi che speriamo venga dimenticata. Da quando c’è Monti siamo di nuovo sulla buona strada».

 

Cina e India sono le potenze emergenti.

 

«I viaggi di Ciampi in Cina e in India nell’inverno 2004-2005, che ho descritto nel libro, sono fra i momenti più qualificanti della sua presidenza e inaugurano una nuova fase nei rapporti con questi protagonisti della realtà internazionale. La sfida è recuperare il ritardo accumulato rispetto ai principali partner (Francia, Germania, Regno Unito), dare continuità e solidità a legami che hanno sofferto in passato di una certa intermittenza, utilizzare al meglio la centralità riacquisita dal Mediterraneo, dopo secoli, nei traffici con l’Oriente. Anche per Trieste e il suo sistema portuale è un’occasione unica per recuperare spazio e autorevolezza. Guai a indugiare».

 

Lei ha concluso la sua carriera in Germania nel 2009.

 

«Il filo conduttore della mia missione era: “più Italia in Germania, più Germania in Italia”. Gli interessi fra i due Paesi rimangono complementari e convergenti, a cominciare dal condiviso impegno europeo. Sono stati anni difficili perchè, a parte la parentesi del governo Prodi, rappresentavo un governo che non sentiva il rapporto con la Germania con la necessaria sensibilità. Ma anche entusiasmanti perché avevo mano libera sul piano economico e culturale dove il potenziale per iniziative congiunte era assai promettente. In questi campi ho raccolto soddisfazioni importanti».

 

I rapporti con il Vaticano?

 

«La diplomazia vaticana difende interessi diversi rispetto a quelli di uno Stato tradizionale. Non ha il problema di tutelare interessi economici e militari. Le responsabilità della Chiesa riguardano libertà religiosa, insegnamento cattolico, valori etici, diritti dell’uomo, situazione dei cristiani in tante realtà politiche ostili. Spesso ho invidiato i diplomatici della Santa Sede perché non sono assillati dalla quotidianità».

 

Lei collabora con Corriere della Sera e varie testate tedesche, ma questo è il suo primo libro. Qual è stata la molla che l’ha spinta a scriverlo?

 

«Non si può sempre minimizzare, tacere, banalizzare, solo perché risulta comodo ai cultori della complicità collettiva. Un giorno, credo nella primavera 2004, dopo aver constatato, mese dopo mese, la difficoltà per il Quirinale di mantenere coerenza alla politica dell’Italia in Europa e in Iraq, dissi al presidente Ciampi che, un giorno, avrei voluto raccontare l’azione del Quirinale per mantenere coerenza nell’azione internazionale dell’Italia. Era necessario, a mio giudizio, che gli italiani conoscessero il ruolo del Quirinale, capissero l’importanza di perseguire obiettivi alti, distinguessero fra inetti e responsabili, comprendessero il significato positivo del servizio verso lo Stato. Mi sono messo al lavoro alla fine del 2009».

 

Carlo Muscatello

“Il Piccolo” 3 giugno 2012

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