Tanto tuonò che piovve. E anche sul bagnato. Sì, perché tra Croazia e Serbia c’è stata sì una sorta di normalizzazione nei rapporti bilaterali istituzionali, ma tra la gente la reciproca diffidenza di fondo è rimasta inalterata dopo la guerra. E ora a far risanguinare piaghe appena cicatrizzate ci ha pensato il neo-presidente serbo Tomislav Nikolic. Prima affermando che Vukovar, la città martire croata, è sempre stata serba e che non c’è alcun bisogno che oggi i croati vi facciano ritorno. Poi sostenendo che a Srebrenica non ci fu genocidio. Risultato? Il presidente croato Ivo Josipovic si è rifiutato di incontrare il “collega” serbo Nikolic a Mostar. L’appuntamento per lo scorso fine settimana era stato fissato già nell’autunno scorso. Un’iniziativa patrocinata dall’Unesco e che doveva culminare sul Ponte vecchio di Mostar. Doveva svolgersi una sorta di “pellegrinaggio della riconciliazione” da parte dei presidenti di Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Albania. L’itinerario doveva toccare il santuario mariano di Medjugorje (cattolici), il monastero ortodosso di Žitomisli„ (serbo-ortodossi) e la moschea di Buna (musulmani). Per poi culminare in una sorta di abbraccio finale sul Ponte vecchio di Mostar, ricostruito dopo la distruzione da parte dei mortai serbi e simbolo di pace e convivenza.
Insomma una sorta di quanto è accaduto già a Trieste sui luoghi della memoria con i tre presidenti di Italia, Slovenia e Croazia e culminato poi con il concerto della pace in piazza Unità d’Italia. Ma le ultime dichiarazioni di Nikolic hanno irrimediabilmente inquinato l’atmosfera di dialogo e riconciliazione. Josipovic è stato categorico: non incontro il presidente serbo, ha detto. La risposta serba non si è fatta attendere. Belgrado, a stretto giro di web, ha fatto sapere che a Mostar non si recherà Nikolic, bensì il ministro della Cultura, Predrag Markovic membro dell’esecutivo in carica solo per l’ordinaria amministrazione dopo le elezioni politiche serbe. Tutto risolto? No, anzi, ancor più complicato, perché dal colle di Pantovcak, residenza di Josipovic a Zagabria è partita secca la contro-contromossa. Bene allora a Mostar per la Croazia ci andrà il viceministro della Cultura, Berislav Šipuš. E pensare che il titolo dell’summit era: «Incontro tra fede e cultura per cementare i rapporti tra i Paesi vicini». Sono piovuti invece i veti incrociati, con buona pace dell’Unesco. Jospipovic è stato irremovibile. Prima vuole le scuse di Nikolic per le parole pronunciate su Vukovar. Ma Belgrado non sente e, si sa, un dialogo tra sordi non ha futuro. E così il ponte di Mostar è rimasto desolantemente vuoto. A questo punto la crisi tra Croazia e Serbia non è più solo uno scambio diplomatico di dichiarazioni più o meno politicamente corrette. Lo strappo esiste ed è molto accentuato. Zagabria sta per diventare la 28esima stessa d’Europa. E anche Bruxelles si muove con prudenza nei confronti della Serbia di Nikolic. La portavoce Ue ha reagito infatti con fermezza alle parole del presidente serbo su Srebrenica ricordando che il genocidio è stato confermato tanto dal Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia che dalla Corte Internazionale di Giustizia. Le parole del neopresidente serbo hanno riacceso i timori che Nikolic non abbia realmente preso le distanze dal suo passato ultranazionalista. Il rappresentante musulmano della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, Bakir Izetbegovic, ha aggiunto che «negare il genocidio di Srebrenica non è un passo sulla strada della collaborazione» ma «una fonte di nuova tensione» nella regione. Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha detto di non voler credere alle dichiarazioni attribuite a Nikolic su una strage per la quale, ha ricordato, «c’è stata una sentenza del tribunale dell’Aja». Rasmussen ha detto di augurarsi «che si possa continuare il dialogo positivo intrapreso con la Serbia», ma ha avvertito che «la situazione viene tenuta sotto controllo».
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 5 giugno 2012