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Isola, 5/6/1797: insurrezione contro lo straniero in territorio italiano (Voce del Popolo 06 giu)

Il caso dell’insurrezione popolare di Isola del 5 giugno 1797, contro l’oligarchia locale, starebbe a confutare clamorosamente il cliché dell’italiano-padrone che, in Istria, avrebbe vessato per secoli lo slavo-servo, sostenuto da certa storiografia croata e slovena, quasi a giustificare la necessità degli stravolgimenti, anche violenti, che avranno luogo nella seconda metà del Novecento. Emerge invece che il popolo della cittadina, all’epoca a forte maggioranza italiana, era di idee “progressiste”, votato al principio della giustizia sociale, anche a costo di doverla perseguire con le proprie mani, visto che erano venute meno le istituzioni dello Stato (leggi il podestà veneto Niccolò Pizzamano).

 

È una delle letture cui si presta quest’episodio finora poco indagato dalla storiografia. L’autore dell’ipotesi? Un collega di Trieste, attento studioso delle questioni giuliano-dalmate, avuto al fianco (occasione quanto mai propizia per scambi di vedute) durante la presentazione a Trieste del volume “Gli ultimi giorni della Serenissima in Istria – L’insurrezione popolare di Isola del 1797” (Edizioni “Il mandracchio” della Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi” di Isola, con il sostegno della Regione Veneto e della CAN di Isola nell’ambito dei programmi culturali sostenuti dal Comune e dal Ministero della Cultura della Repubblica di Slovenia, 2010, pp. 555). Al tavolo dei relatori, oltre al promotore dell’evento, Marino Vocci (Civico Museo del Mare), tre degli autori: Franco Degrassi, Kristjan Knez e Silvano Sau.

 

Sarà stato per l’argomento – piuttosto che il fatto che si trattava dell’ultimo appuntamento, prima di lasciare spazio a “Marestate 2012, navigando nella scienza”, con “Trieste, una storia scritta sull’acqua – i lunedì marinari dei Civici Musei Scientifici” –, ma sta di fatto che lo splendido ambiente del Civico Museo del Mare, in cui si è tenuto l’incontro, era gremitissimo: si cercava, letteralmente, una sedia in più. Un’ulteriore conferma della bontà dell’iniziativa, un’ulteriore conferma dei legami profondi tra le diverse sponde del “mare nostrum”, tra le stesse cittadine di quest’area. “Avrà senso parlare del progetto di unità d’Italia finché esisteremo noi rimasti, che stiamo a testimonare tale unificazione mancata”, ha fatto notare Silvano Sau, presidente della Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Isola, che ama parlare della rivolta isolana di 215 anni fa – e la promozione dell’opera succitata si è svolta proprio in concomitanza con l’anniversario – come della “prima sollevazione popolare italiana contro lo straniero in territorio italiano”.

 

Il volume (corredato da numerose illustrazioni di documenti del periodo) ripercorre i fatti che precedettero l’uccisione del podestà Nicolò Pizzamano – perché sospettato di intelligenza con gli Austriaci –, la sommossa devastatrice, li contestualizza e ne spiega le conseguenze, fornendo al contempo un ritratto di Isola e di parte dell’Istria a fine Settecento-inizi Ottocento. Anche se parliamo di un unico tomo, in realtà racchiude ben quattro saggi – preceduti dalla prefazione di Astrid Brenko e dai cenni introduttivi di Silvano Sau – che potrebbero benissimo reggersi autonomamente.

 

Eccoli nell’ordine: “Napoleone e la campagna d’Italia”, di Corinne Brenko e Alessandra Rigotti (pp. 13-56); il poderoso ed esaustivo “La Municipalità provvisoria di Venezia e l’Adriatico orientale”, di Kristjan Knez, che ha preso in esame gli articolati rapporti che nella regione sono seguiti alla fine della Dominante e i processi e i fenomeni complessi che hanno coinvolto tutto l’Adriatico orientale, oltre che la stessa Venezia (pp. 57-272); “L’insurrezione popolare di Isola del 1797”, di Franco Degrassi, che approfondisce concretamente il capitolo dei rapporti sociali ed economici di Isola alla fine del XVIII secolo e i motivi che probabilmente contribuirono alla tragica fine del podestà Pizzamano nel corso della rivolta popolare del 5 giugno 1797 (pp. 273-454); “La famiglia Pizzamano” di Paola Pizzamano, una delle lontane discendenti del podestà assassinato, storica dell’arte del Museo di Rovereto, che per il volume ha voluto scrivere una bella storia dell’antica e potente famiglia veneziana (pp. 455-492); infine Silvano Sau che ha curato la parte dei documenti e delle testimonianze che partono dal 1253, a quando risale la prima traccia scritta dell’esistenza di un’organizzazione comunale e si conclude con una delle famiglie più in vista della città, i nobili Besenghi degli Ughi (pp. 493-555).

 

Sorvolando (per motivi di spazio) sui vari aspetti dell’intricata situazione politica, militare, economica e sociale di tutto lo scacchiere centro-europeo – un quadro è stato brillantemente tratteggiato l’altro giorno a Trieste da Kristjan Knez –, diremo in estrema sintesi che questo nostro lembo di terra di confine venne a trovarsi, agli ultimi sgoccioli del Settecento, tra la minaccia della Grande Armée napoleonica, la caduta di Venezia, la cui classe dirigente, appartenente alla nobiltà, non era stata in grado di introdurre le tanto auspicate riforme che avrebbero dovuto ridare uno slancio alla Dominante, a costituire una Municipalità democratica, e l’imminente passaggio all’amministrazione asburgica.

A partire dal 10 giugno, infatti, le truppe imperiali iniziarono la calata in direzione dell’Istria e del Quarnero, dopodiché puntarono sulla Dalmazia. Ma prima dell’occupazione militare, nelle cittadine dell’Istria settentrionale (soprattutto a Isola, a Capodistria e a Muggia) si verificarono delle insurrezioni popolari contro l’oligarchia nobile-notabile, sospettata di aver venduto i centri urbani nientemeno che agli Austriaci.

 

A Isola, borgo di pescatori e contadini, ma anche di contrabbandieri e di personaggi dediti ai più loschi commerci, non si andò molto per il sottile; la reazione fu brusca. Lo sventurato podestà Nicolò Pizzamano, appartenente a un casato nobile e potente, incapace di assicurare al popolo ciò che questi si aspettava da un reggitore veneziano – equità e rispetto dello Statuto –, ma che, viceversa, gestiva male lo Stato (non si atteneva alle norme che regolavano l’amministrazione del fondaco e una lettera anonima lo dava per corrotto da una schiera di notabili che avevano il potere economico in città). A questo si aggiunsero voci che mormoravano che la cittadina sarebbe stata venduta alla Casa d’Austria da parte dei notabili del luogo, con il concorso e l’assenso del podestà, aggiungendo che all’interno delle mura urbane vi sarebbe stata già la bandiera imperiale…

 

I popolani furibondi manifestarono una carica di collera che, evidentemente, non era dovuta solo a quel fatto specifico, ma rifletteva un malcontento e una rabbia che, specie negli strati più bassi di quella comunità, aveva avuto già modo di esplodere e di manifestarsi con tutta la sua intensità nel corso della seconda metà del XVIII secolo. Il tumulto terminò tragicamente con l’efferata uccisione del Pizzamano: la folla furente entrò nella sua abitazione sfondando il portone d’entrata, insultò la moglie e la figlia, che da pochi giorni aveva messo al mondo la sua creatura, quindi passò a saccheggiare gli averi nonché a gettare fuori dalle finestre quanto trovava.

Il podestà prese il largo, scappando di casa attraverso i tetti. Gli isolani inferociti lo rincorsero e contro il malcapitato fu sparata addirittura un’archibugiata, che però non lo colpì. La speranza di eludere gli inseguitori svanì in un istante, perché questi riuscirono a scaraventarlo e a malmenarlo. Nonostante Pizzamano implorasse la grazia, davanti alla casa del notabile Giuseppe Moratti fu pestato con violenza da uno dei turbolenti, un certo Zuanne d’Udine (detto Salmestrin); poi partì l’ordine di freddarlo e Bastian Perentin (soprannominato Bastianella) premette il grilletto. E si continuò; il podestà trovandosi accasciato al suolo ma non ancora privo di vita fu finito con una pugnalata nel fianco per opera di Zorzi Mandich.

 

Chi erano i rivoltosi? Persone scontente, giovani attorno ai 20 anni, moltissimi appartenenti a famiglie che formavano il Consiglio comunale. Gran parte dei responsabili dell’episodio vennero processati (si posseggono le sentenze) e condannati, anche se alcuni riuscirono darsela a gambe; il popolo tutto si pentì dell’accaduto e si vergognò di questo atto, tanto che… cadde l’oblio, nessuno volle più parlarne.
E difatti, su questa pagina di storia non sono stati compiuti molti studi: per sollevare il velo del silenzio che era calato sulla vicenda bisognerà attendere la fine dell’Ottocento, con i contributi di Giovanni Quarantotti, e soprattutto il secolo scorso, con quelli di Almerigo Apollonio, ma è appena il volume presente, “Gli ultimi giorni della Serenissima in Istria – L’insurrezione popolare di Isola del 1797”, a fornirne un ritratto più nitido, anche se non ancora del tutto completo.

Tornando ai nostri insorti e alle conseguenze della loro azione, per ironia della sorte, fornirono all’Austria un pretesto concreto per procedere con l’occupazione, per… metter ordine! Per tre anni fu cancellata ogni forma di carica elettiva, anche in ambito ecclesiastico.

 

Il cruento episodio pose fine a un certo tipo di potere durato secoli. Isola sottoscrisse l’atto di sottomissione al Leone di San Marco nel 1280, anche se il primo documento che attesti i rapporti con Venezia risale al 14 gennaio 932. Oggi della ex Dominante rimangono i monumenti e usanze che testimoniano una storia dai trascorsi comuni, una grande civiltà, ancor sempre presente nella popolazione di queste terre, in primis di quella italiana. Basti pensare al dialetto di queste terre che, come ha rilevato l’altro giorno Knez, non è una parlata derivata dall’occupazione veneta, ma autoctona, antecedente a questa, come del resto confermato a Buie, allo scorso Festival dell’Istroveneto.

 

Un retaggio civile e culturale da recuperare, conservare, tutelare e soprattutto promuovere. E, perché no, magari anche nella stessa Venezia, presentando proprio questo volume.

 

Ilaria Rocchi

“La Voce del Popolo” 6 giugno 2012

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