Tutti quelli che hanno navigato lungo la Dalmazia sanno che che dopo la prima dose di rocce bianche e mare blu è difficile smettere e tornare a essere quelli di prima. E infatti ci sono ricaduto: l’imbarazzo della scelta è sempre notevole, ma la sicurezza di finire irrimediabilmente in luoghi incantevoli rende piacevole le tempeste dell’indecisione, navigate tra carte geografiche e Google Earth. Ma sono più sicuro dell’anno scorso, durante la pagaiata tra Duino e Zara del 2011 qualcosa ho imparato. Ad esempio, adesso so cosa portar via e cosa lasciare a casa, ho sperimentato che con una condotta prudente si può navigare riducendo drasticamente i rischi. Quest’anno i “che fare” dell’anno scorso sono diventati “su, facciamo”. Anche se ho imparato almeno un po’ come funziona il trio mare – uomo – kayak, per non avere sorprese ho preferito ripassare il rosario di gesti e devozioni marinare che costituiranno la mia quotidianità per due settimane. Ho inventato una specie di protocollo pre-parto: finita la scuola, durante il mese di giugno, mi sono imbarcato più volte a pieno carico, a caccia di un posto in Costiera dove piantare la tenda per passare la notte.
Ma, se il meteo è favorevole e inequivocabile, dormo sotto le stelle, con sacco a pelo e materassino. Smanetto con Vhf, col Gps, provo il portatile, scrivo questo articolo, mi faccio qualcosa da mangiare. Così ho passato diverse notti nel mio igloo di tela, lavorando col notebook che mi hanno regalato i ragazzi della mia classe. Con gli occhi che ogni tanto navigavano seguendo le luci giallognole del Golfo, quasi una saldatura dorata tra il buio scintillante del mare e quello del cielo. In alto, la fettina di luna crescente da mettere sul bordo di un bicchiere di un cocktail siderale. E in basso il suo riflesso marinato e spruzzato di argento sporco zigrinato dal borino. Sarà piena in navigazione, che bello. L’alba è la sveglia del navigante, ma alle cinque anche il vecchio Ivo è già sceso in costiera a muovere le sue pietre, non prima di avermi deposto davanti alla tenda una brioche. Lui è così, se gli sei simpatico è una finestra aperta, altrimenti è meglio che cambi posto. Quando sono sbarcato davanti alla sua postazione abbiamo parlato, gli ho detto del kayak, del mio progetto di dormire qui un po’ di notti per rifarmi i calli del vagabondo. E, ovviamente, gli ho parlato del mio viaggio.
«La tenda la puoi mettere qui», mi ha detto mostrandomi una piazzola livellata e coperta di ghiaia fina. È un litomane dai tempi della sua giovinezza. Dato che soffre d’insonnia, di notte si arrovella con le pietre: come sistemarle, quali utilizzare e così via, da cinquant’anni. Di giorno scende in costiera da Sistiana, sposta masegne, innalza terrazzamenti, pianta pali e arbusti, piccona, spacca sassi. Pare di essere in un centro neolitico per la produzione di punte di freccia: tic, clak, tic. Qualcuno si lamenta, ma il pezzo di Costiera su cui imperversa è un giardino zen di calcari. La prossima mareggiata lo cancellerà, ma Ivo tornerà a sistemare tutto. Una metafora? Un personaggio inventato per un racconto? Vedete voi. Ma Ivo esiste, anche se parla poco, si appoggia alla pala, nudo e con un corpo forte e cotto come il cuoio, e medita pietre. Occhi azzurri e barba bianca, è uno strano capitano carsomarittimo di questa piccola società anarchica che alligna sulla costiera da decenni. Mi è simpatico e mi incuriosisce, quest’uomo dedito in maniera quasi religiosa all’arte non codificata del muovere e sistemare i sassi. Scusate, e il viaggio? Dove vai? chiederà qualcuno.
Il viaggio, quest’anno, mi pare sia già cominciato con queste nottate e navigazioni preparatorie. Questo posto potrebbe essere già una meta, visto che, come l’anno scorso, anche quest’anno non ne ho nessuna. Voglio solo viaggiare. Di nuovo in acqua. Di nuovo con le pietre tormentate a pochi metri, come circumnavigando la Luna dal mare. Volevo riprendere il viaggio da Zara, ma la scolasticità del progetto – cioè riannodarlo da dove l’avevo finito l’anno scorso – è stata affondata dalla mancanza di traghetti Fiume-Zara. La Brazza, Lesina, Spalato, Curzola, Ragusa, Meleda – cioè Brac, Hvar, Split, Korcula, Dubrovnik, per quelli che non sanno più i nomi venexiani – le conosco bene dalle due ruote, le ho viaggiate a pedali molte volte. E se le facessi dal basso, dalla prospettiva rovesciata di chi naviga con questa specie di costume da bagno galleggiante, con le scogliere che si aprono sul cielo? Se riscrivessi a colpi di pagaia il mio “Dalmazia Dalmazia”, uno dei miei diari della bicicletta? L’area da navigare potrebbe essere proprio la Dalmazia meridionale, da Spalato a Ragusa. La rotta non la dico al millimetro, semplicemente perché non la so e non la voglio sapere. L’itinerario di massima è Spalato-Ragusa via isole, ma ogni variazione è possibile. Non mettiamo limiti agli sprovveduti del viaggio organizzato. Viaggio con un kayak nuovo, un Skd 536, Starbuck III, più capiente e marino del 526. Ci sta un sacco di roba, nella sua pancia, e ho constatato che riesco a girarmi – cioè a fare l’eskimo – anche col k. carico. L’ho sistemato e adattato alle mie esigenze: ho trovato una buona bussola da appiccicare sul ponte, ho fatto riparare la pinna dello skeg, ho sistemato una retina portaoggetti, utilissima per metterci le cose indispensabili quando si sta per ore e ore in acqua, senza sbarcare: acqua, un po’ di cibo, il cellulare. Viaggerò con Mariano Storti, vicentino, che non ho mai visto e che ho incontrato navigando, ma sul web.
Nel 2011 ha pagaiato da Fiume a Spalato, so che ha fatto un 8000 sull’Himalaya, che ha attraversato l’Islanda a piedi. Ci conosceremo in navigazione. Il viaggio vero e proprio inizia proprio oggi, quando il traghetto Fiume Spalato scioglierà gli ormeggi. Proseguirà la mattina del tre quando, meteo permettendo, traverseremo il braccio di mare tra Spalato/Split e la Brazza/Brac. Chissà se il vecchio Vanja Ilich abita sempre il mulino cilindrico di Sutivan, trasformato in una casa che sembra un faro. Chissà se troveremo il modo di risalire dalla costa al monastero di Blaca, che sorge alla roccia come un cristallo grigio dalle cime della Brazza. Chissà se la Nona, a Bol, è ancora lì che soffrigge aglio e pesce nella sua immensa gonna a campana. Piuttosto che partire con alle spalle una bella organizzazione turistica, è meglio farlo con il gavone pieno di domande e di curiosità. E una cronaca marinara troverà il porto anche quest’anno su “Il Piccolo”, giornale che si affaccia sul mare e sulla nostra bella costiera.