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Un bicchierino con Diego Zandel (noiritaliano.com 14 lug)

Oggi Noir Italiano si sposta in Istria e va a trovare l’autore Diego Zandel. Classe 1948, Diego è un autore navigato e conosciuto nel panorama noir italiano. Sta per uscire il suo ultimo romanzo “Essere Bob Lang” e l’abbiamo invitato per conoscere il suo punto di vista su noir e scrittura.

 

Noir Italiano: Ciao Diego, benvenuto a Noir Italiano. Posso offrirti un bicchere di Slivovitz?

 

Diego Zandel: Grazie. Anche se in Istria si beve la tradizionale grappa, che è chiamata col nome di rakija, che è la normale acquavite. La slivovica, leggi slivoviza, perché in croato la c si legge z, è più croata, della zona della Lika. Il marito di mia cugina che è originario di lì ne fa una in casa straordinaria. Forse dipende dal tipo di prugne.

 

Noir italiano: Cosa significa per te “noir?”

 

DZ: Il noir per me ha il sapore dell’avventura. Per questo lo trovo in alcuni romanzi di Eric Ambler, in Chandler, Hammett, Simenon, in particolare in quelli senza Maigret. Per gli italiani, in alcuni romanzi di Carlotto, in particolare “Arrivederci amore ciao” e in “Romanzo criminale” di De Cataldo, che giudico un capolavoro. Poi romanzi sparsi, che hanno avuto la capacità di coinvolgermi sul piano della storia, dell’ambiente, dell’atmosfera. Per me è questo il noir.

 

NI: Cosa rende l’Istria un luogo noir?

 

DZ: L’Istria è soprattutto il luogo della memoria, mia e della mia famiglia. E’ un sentimento. Ha poco a che fare con i noir che ho scritto, anche se qualche elemento c’è sempre, più o meno forte. L’Istria, il fatto che sia una terra di frontiera, multilingue e multietnica, mi mette in contatto con un mondo davvero noir come quello dei Balcani, e poi giù con la Grecia. I miei romanzi noi si svolgono lì, con l’eccezione del primo “Massacro per un presidente” (Mondadori, 1981) che si svolge a Roma, negli anni del terrorismo, anche se vede come protagonisti due profughi istriani, uno nelle file del SISDE e uno in quelle del terrorismo.

 

NI: Come nascono i tuoi romanzi?

 

DZ: Da storie che sento e che poi sviluppo dentro di me con la fantasia. Anche certi personaggi che incontro. In questo senso posseggo una sorta di potere rabdomantico: quello di entrare in contatto con personaggi che hanno avuto storie interessanti. Faccio un esempio: una volta ero a Trieste, il professor Guagnini, docente dell’università, mi aveva fatto l’onore di organizzare una presentazione dei miei romanzi sotto il titolo “Thriller, avventura, spy story oltre il confine orientale”. Tra il pubblico, quasi tutto di studenti, c’era un signore anziano, il quale, dopo la conferenza mi si avvicina e mi chiede un incontro. In breve, era stato una spia italiana in Jugoslavia, nel periodo duro del comunismo, lì fu beccato e mandato a Sremska Mitrovica, il carcere dov’era imprigionato anche Gilas. Mi ha raccontato un sacco di storie, che ho in animo di utilizzare. Ho anche sue lettere, comprese quelle di risposta di un paio di ministri italiani che non gli riconoscevano gli anni passati in carcere nella Jugo e neppure i soldi di rimborso della sua auto di proprietà che gli era stata sequestrata. Più recentemente ho trascorso un paio di giornate, e mi sento tuttora al telefono, con un signore, ormai quasi ottantenne, che ha combattuto in Africa, nel Congo, con i katanghesi di Ciombè, agli ordini di Bob Denard, un ormai leggendario soldato mercenario, così come agli ordini di un altro personaggio simile Jean Schramme. Sa dettagli sulla morte di Lumumba inediti e dei quali è stato, suo malgrado, protagonista.Ma sono solo i primi due esempi che mi vengono in mente. Ce ne sono tanti altri.

 

NI: Quando sei a caccia d’idee, come ti comporti?

 

DZ: Le idee vengono da sé. Sono la conseguenza del fascino che certi personaggi e ambienti esercitano su di me. E’ noto, perché è stato messo in evidenza in diverse interviste e articoli, che io stesso sono stato avvicinato in un paio di occasioni da emissari di governi dell’est europeo per diventare loro informatore. Naturalmente, sono rimasto al mio posto (ed anzi ho raccontato la cosa a suo tempo a un alto ufficiale del Sisde o del Sismi). A proposito, in vista della stesura del mio romanzo “Operazione venere”, ambientato a Cipro, ho avuto anche la fortuna di avere un incontro in un appartamento sotto copertura del SISDE con un capitano che s’era infiltrato tra i trafficanti di droga di quel paese. Così come ho avuto un altro incontro, nella saletta privata di un ristorante, con un carabiniere del ROS infiltrato presso i narcos colombiani. E’ interessante, e avventuroso, anche come si realizzano questi incontri. Una cosa è certa, quando avvengono loro hanno un arma in più: sanno tutto di te.

 

NI: Il consiglio che dai a un autore esordiente che volesse avvicinarsi al noir?

 

DZ: Essere curiosi, innanzitutto. Io penso che il potere rabdomantico consista in questo. Nello stesso tempo mai lasciarsi coinvolgere, vivere come semplici testimoni, avendo la capacità di immedesimarsi nelle situazioni e fantasticarci sopra.

 

NI: Il noir è fantasia ma anche documentazione e verosimiglianza. Come affronti la cosa?

 

DZ: Tratto sempre situazioni delle quali ho una certa conoscenza. Infatti non mi sposto molto dai miei luoghi preferiti. Le storie nascono da lì. Poi, gli approfondimenti sono necessari, soprattutto i dettagli. Faccio un esempio: “I confini dell’odio” tratta della guerra nella ex Jugoslavia. Senz’altro ho letto gli articoli e i libri che ne parlavano, tanti all’epoca. Ma io anche continuavo ad andare in Croazia e avevo fonti dirette di gente che aveva combattuto e che mi raccontava cosa succedeva al fronte, dettagli che la stampa non trattava.

 

Ni: Qual’è il limite oltre il quale il noir non dovrebbe spingersi?

 

DZ: Non darei limiti. Né di carattere estetico né etico. Si pensi ai romanzi di Carlotto: rappresentano una violenza estrema, il comportamento di certi personaggi ci scandalizza, eppure sono efficacissimi nel descrivere un mondo che per certi ambienti è vita quotidiana. E ritengo straordinaria la freddezza con la quale Carlotto li descrive. Se usasse un metro di giudizio moralistico, anche sotterraneo, perderebbero la loro verità e il loro forte impatto narrativo.

 

NI: Ti ringrazio. Regalaci una frase noir…

 

DZ: Ne dirò una apparentemente opposta: tutte le volte che ho scritto un libro non ho mai pensato di scrivere un noir, o un thriller o una spy story, ma soltanto una storia.

 

(fonte www.noiritaliano.com 14 luglio 2012)

 

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