Emergenza Bosnia-Erzegovina. Se i politici nazionali non si sveglieranno e non s’impegneranno a compiere le riforme costituzionali necessarie a rimettere in sesto il Paese, la nazione rischia la rovina. Questo «perché il sistema di governo» uscito da Dayton «ha raggiunto il punto di rottura». E se rottura sarà, lo Stato potrebbe diventare uno «Stato fallito», incapace di sopravvivere.
L’allarme arriva dal rapporto “Il nodo gordiano della Bosnia”, prodotto dall’International Crisis Group (Icg), uno dei più autorevoli think-tank internazionali specializzati «in prevenzione e risoluzione di conflitti». Un rapporto che analizza il precario stato di salute della democrazia bosniaca. A rischio «disintegrazione», se le riforme non saranno rapide e profonde. Quali riforme? L’analisi dell’Icg lo spiega partendo dal caso Sejdic-Finci, una sentenza vecchia di due anni con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato Sarajevo per discriminazione su base etnica. La sentenza, scrive l’Icg, «chiede alla Bosnia di cessare la discriminazione nelle elezioni presidenziali» e in quelle per la Camera alta, affermando che i candidati devono essere trattati equamente, senza riferimenti alla loro etnia». Candidati che devono poter essere appartenenti alle minoranze. Rom, come Sejdic, o ebrei, come Finci, «senza che venga loro negato il diritto di candidarsi perché non appartengono a uno dei “popoli costituenti”, serbi, croati e musulmani, come prevede la Costituzione bosniaca.
Peccato che dal 2009 a oggi nulla sia stato fatto in questo senso. Tutti i partiti politici «sono d’accordo nel cancellare la discriminazione, ma non trovano un’intesa su come salvaguardare i diritti dei tre popoli costituenti, specialmente quelli del gruppo più esiguo, i croati», scrive l’Icg. E senza una riforma, anche la strada verso l’Ue è bloccata, perché Bruxelles la considera «un prerequisito per diventare Paese membro». «La Bosnia deve usare la sentenza come trampolino di lancio per elaborare un’architettura costituzionale moderna», ha spiegato Marko Prelec, direttore di Icg nei Balcani. E i «prossimi passi decideranno se il Paese sopravvivrà muovendosi verso l’Europa o se inizierà un processo di disintegrazione che non finirà in modo pacifico», il duro avvertimento dell’esperto del think tank.
Disintegrazione che potrebbe venire accelerata dagli «attacchi alle istituzioni e dalla crisi politica sempre più acuta, soprattutto dopo il collasso del governo a maggio», ammonisce il rapporto. «Le istituzioni a tutti i livelli sono altamente inefficienti e i politici sembrano immuni alle pressioni domestiche o internazionali», la stoccata dell’Icg verso la “casta” politica bosniaca. La sua inazione sta portando inoltre le «tensioni» insite nella natura del «federalismo bosniaco – la divisione in due entità territoriali e tre popoli costituenti – a essere sempre più difficili da placare». Ma in un Paese «dove i politici non solo sono incapaci di risolvere i problemi, anzi sono diventati essi stessi il problema», è arduo il solo auspicare un cambio di rotta senza il quale «tenere insieme il Paese diventerà sempre più complicato».
Un cambio di rotta che, ci si augura, dovrà per forza arrivare entro le elezioni del 2014 che potrebbero addirittura essere dichiarate invalide dall’Ue se si voterà con la Costituzione ora in vigore. E allora il paese balcanico potrebbe ulteriormente riavvilupparsi nelle difficoltà politico-istituzionali che gli hanno reso la vita difficile.
Stefano Giantin
“Il Piccolo” 16 luglio 2012