Una vicenda contorta quella capitata in Dalmazia agli imprenditori triestini fratelli Ladini, proprietari dell’impresa “La Distributrice”. Una brutta storia approdata al Parlamento italiano con l’interrogazione del deputato Roberto Menia (Fli), rivoltosi al ministro degli Affari Esteri italiano per chiedere lumi su quanto accaduto a Signo (Sinj), nell’entroterra spalatino, dove gli investitori italiani si erano presentati una decina di anni fa rilevando la fabbrica di fili Dalmatinka.
Menia ha chiesto spiegazioni ma soprattutto un intervento risoluto da parte della Farnesina e dell’Italia per difendere gli interessi degli imprenditori italiani in Croazia, peraltro tutelati dalla Convenzione italo-croata sulla protezione e tutela degli investimenti, sottoscritta il 5 novembre 1996. Negli anni scorsi il Ministero delle finanze croato ha voluto trattare gli investimenti de “La Distributrice” come utili straordinari e quindi da tassare. Sono stati investimenti regolarmente contabilizzati da Dalmatinka e registrati alla Banca nazionale della Croazia. Diverse perizie giudiziarie espletate da esperti croati hanno stabilito l’illegalità della doppia tassazione sui capitali investiti, cosa appunto vietata dalla predetta Convenzione. Come se non bastasse, il Ministero croato delle finanze ha bloccato ogni sei mesi e per cinque anni i conti correnti di Dalmatinka per 30-60 giorni, prelevando tutti i contanti e nonostante le proteste dell’impresa dalmata e dei periti croati.
Il blocco ha impedito la regolare produzione alla Dalmatinka e il conseguente mancato versamento degli stipendi ai circa 300 occupati e di quanto dovuto ai fornitori. C’è stato poi l’intervento del Tribunale commerciale di Spalato che ha aperto il primo procedimento fallimentare il 29 gennaio 2008, a prescindere che fosse in possesso di documenti bancari che stabilivano il versamento dei salari ai lavoratori. Più avanti è stata la Corte suprema croata ad annullare la sentenza del tribunale spalatino (su ricorso della Dalmatinka), adducendo tra le motivazioni le innumerevoli e inaudite illegalità del giudice spalatino Ivan Basic. Il costo di questa operazione, pari a circa 2 milioni di euro, è stato addebitato in toto a Dalmatinka, mentre invece sarebbe dovuto spettare al tribunale del capoluogo dalmata e/o al Ministero delle finanze croato.
C’è stata poi una nuova richiesta di fallimento, rifiutata stavolta dal magistrato spalatino Ante Capkun (avrebbe per tale motivo subito addirittura un’aggressione in tribunale). La successiva richiesta di fallimento, sempre a causa del ritardato pagamento dello stipendio, è stata invece accolta dal giudice Basic, che ha impedito la presenza in aula del legale delal Dalmatinka, Tomislav Krka. In questo momento inoltre non è stata ancora fissata l’udienza che dovrà accertare i crediti di Dalmatinka, pur in presenza del verdetto della Corte suprema croata. Infine da registrare che il tribunale spalatino sta svendendo i macchinari dello stabilimento dalmata.
Andrea Marsanich
“Il Piccolo” 21 luglio 2012
L’ingresso della fabbrica “Dalmatinka Nova” al centro del contenzioso tra i proprietari italiani Landini e lo Stato croato (foto www.metro-portal.hr)