«Ora i croati “scippano” Marco Polo a Venezia»: questo, del “Corriere della Sera” del 10 agosto scorso, è uno dei titoli dei diversi servizi apparsi in questa metà di agosto suo quotidiani italiani, dedicati alla girandola di invenzioni che nel corso degli ultimi mesi si è registrata in Croazia attorno a personaggi e opere che con la storia della vicina Repubblica proprio nulla hanno mai avuto a che vedere.
Una costante campagna di marketing è stata messa in atto dal tempo dagli operatori croati per appropriarsi, ad esempio, della figura di Marco Polo, al quale, con un evidente salto di qualità (per così dire) è stato da poco dedicato e inaugurato a Curzola un Museo che ne celebra le gesta e ne afferma la nascita nell’isola dalmata senza uno straccio di fondamento storico . «In questo caso – commenta l’articolista del “Corriere”, Antonio C. Piedimonte – lo “scippo storico” sembra più grave». Ma si ricorderà la famosa mostra vaticana sull’«arte religiosa croata» di alcuni anni addietro che tante polemiche suscitò per le palesi e indecorose attribuzioni di croaticità agli artisti dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani che lavorarono nelle città istriane e dalmate. E se si considera che, nel caso del Museo allestito nella “casa” di Marco Polo a Curzola (?), la somma investita è di 270.000 euro, somma ingente per le quasi esauste casse statali croate, si può ben comprendere quanto ostinata sia la politica perseguita dalle amministrazioni croate a danno del patrimonio culturale italiano.
In realtà gli episodi non si contano: ne diamo notizia nelle pagine di News e di Rassegna Stampa del nostro sito, ma vogliamo ricordare tra gli altri i casi di Ruggero Boscovich, di Papa Sisto V (addirittura!), degli artisti Giorgio Orsini “tradotto” in Juraj Matejev Dalmatinac e di Niccolò Fiorentino tramutato in Nikola Firentinac, dell’umanista chersino Francesco Patrizi trasformato in Frane Petrić (o Franjo Petrić, Petriš, Petris, Petričević, Petrišević, come più vi aggrada) o, finanche, del Beato Agostino Casotti, nato a Traù nel XIII secolo, per miracolo trasfigurato in Augustin Kažotić e così accolto con candida lietezza dai fedeli pugliesi di Lucera, la cui diocesi egli resse tra il 1322 e il 1323.
Ora, i fuochi d’artificio finali (per il momento) vengono sparati a proposito di Re Artù e di Ulisse, entrambi ricondotti a origini croate: nel primo caso su suggerimento di un inglese, John Matthews, nel secondo ad opera di un tal Jasen Boka. Che siano tutti questi effetti di un delirio ipernazionalista che ha di gran lunga superato il limite del ridicolo è ampiamente noto, ma non per questo è da trattare con superficialità. La macchina della propaganda macina bene sul turismo di massa che di certo non possiede gli strumenti culturali per difendersi dalle penose invenzioni dei sedicenti “studiosi” d’oltreconfine che fanno conto proprio sull’ignoranza globale dei vacanzieri di ogni parte del mondo. Per questo sembrerebbe opportuno che finalmente gli ambienti politici e culturali italiani – sinora «tiepidi» nell’intervenire – assumano una più chiara e ferma posizione sull’argomento. Non per dare maggiore evidenza a manovre di per sé oltre modo risibili, ma per dare un segnale di attenzione e di rispetto verso la grande storia della civiltà italiana. Tutto ha un limite.
La notizia, che abbiamo precedentemente riportato, della ratifica italiana dell’accordo bilaterale con la Croazia in materia di programmi e progetti culturali ci induce giocoforza a qualche riflessione. Si può concludere un accordo con un partner che da molti anni gioca con i nomi e i luoghi altrui tralasciando di esigere quel rispetto che la storia impone?
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Sebenico, un dettaglio della Cattedrale di San Giacomo (XV-XVI sec.),
opera degli architetti Giorgio Orsini e Nicolò Fiorentino